SCAPPELLOTTO

Avrete notato che queste mie incursioni estemporanee nei dintorni del nostro idioma (dal greco "idios", "proprio, particolare", per dire la lingua propria di un popolo), l'elemento predominante è la fantasia, al di là della seriosità di certe affermazioni, tutte da controllare quanto ad esattezza scientifica.

Quel che mi attrae delle parole è la loro duttilità, la capacità di adattarsi a più significati nel tempo e nello spazio. Oggetto delle mie ricerche, se così si possono chiamare, sono le curiosità, le rarità e le stravaganze, che si possono trovare fin nei termini più comuni.

Cappello realizzato da Grazia Vuillermoz (Aosta) - 2016

I miei sforzi in questo campo, possono dare l'idea di certe figure di un tempo, quali il detective alla Sherlock Holmes, sulle tracce di un delitto efferato armato di una lente di ingrandimento, oppure far pensare all'entomologo, casacca e casco da esploratore che, con un retino acchiappafarfalle, insegue per prati e boschi esemplari rari di insetti.

Ma tant'è, la passione è forte e i mezzi sono limitati, per cui bisogna accontentarsi del poco che riesco a racimolare senza (spero) annoiare troppo.

Mi sono imbattuto ora con questo vocabolo strano, "scappellotto", che ispira simpatia perché tra i mezzi di correzione corporale che una volta si usavano per portare sulla buona strada ragazzotti un po' riottosi, era quello che più si somministrava da parte degli educatori, senza cattiveria, appioppando a mano aperta, una sberla, per lo più innocua, sulla nuca dell'educando, facendogli cadere figurativamente per terra la scoppola o il cappello.

Il termine, di sicura origine onomatopeica, rende bene l'effetto sonoro dell'atto, come pure l'atteggiamento di indulgente severità dell'educatore che, nell'applicare la pena è come se avesse già sorvolato sulla colpa e, d'altro canto, nella inclinazione del capo del penitente, susseguente alla spinta dall'alto verso il basso, non violenta, ma nettamente avvertibile della mano, il quale deve provare quel tanto di coinvolgimento da renderla efficace.

Da questa accezione, il termine è passato a significare anche "farla franca rischiando solo di perdere il cappello", nelle espressioni del tipo "è entrato in teatro a scappellotto", vale a dire gratis, a sbafo, oppure "ha superato l'esame a scappellotto", cioè con una spinta dell'esaminatore, come quando più volgarmente diciamo , "con un calcio in culo".

Sinonimi di "scappellotto", sono gli altrettanto coloriti termini, di cui alcuni di origine dialettale, come "scapaccione", che differisce dal primo per la localizzazione dello schiaffo, sulla guancia (1), anziché sulla nuca e forse anche per una maggior violenza del gesto, rilevabile nel suono stesso della parola, per via della terminazione in  "one"; più tenue il senso di "coppino", che si distingue per la posizione della mano, "a coppa"; "papetta", (da "papà"? le fonti tacciono); "sberla" che è indifferenziato ed altri di minor effetto figurativo (2).

A titolo di completezza, cito alcune espressioni che esulano dal campo dello schiaffo ma sono ugualmente pene corporali, come la "tirata di basette", vera tortura usata da alcuni preti per stimolare il senso di devozione nei bambini, la bacchettata sulle mani, la condanna a stare in ginocchio e ultima curiosità, al di fuori del campo "penale", uno scherzo, in uso tra compagni di scuola, lo "sgrignolo", consistente nel far scattare a molla il medio di una mano contro il padiglione auricolare del compagno seduto sul banco davanti.

(1) Scapaccione viene da "capo" e le fonti sono concordi nel dire che si tratta di schiaffo dato a mano aperta sul retro del capo. A me "suona" più sulla guancia. Però...

(2) Sventola, sganassone, ceffone, manrovescio, botta tra capo e collo, pacchero, ecc.

Commenti

  1. Una volta presi uno scappellotto da mia mamma durante una gita in bus perché, dopo aver mangiato velocemente, avevo un singhiozzo forte continuo. Premetto che per lei alzare le mani solo simbolicamente e senza violenza era un oltraggio, una perdita di dignità. Così, davanti ad altri conoscenti e memore della dicerìa che il singhiozzo passa con uno spavento, mi caricò all'improvviso una manata dietro la testa con tutto il suo peso proprio. Mi sentii stordito ed ebbi per diversi minuti la vista annebbiata, tra le risate di tutti i presenti

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