RESIPISCENZA

La resipiscenza non è una rinascita, ma un risvegliarsi. Un tornare in sé, un rinsavire, un rianimarsi, riprendere i sensi, tutte espressioni che danno il senso del sollievo da una fase di stasi in cui si trovava il soggetto che si arrovellava su un problema di coscienza e si dibatteva in tribolazioni consistenti in dubbi, timori, sensi di colpa e stati depressivi, per approdare alla sponda di una serenità ritrovata, conseguente ad una di ripresa di coscienza, che prelude ad un completo ritrovamento dei valori e dei principi su cui era passato sopra senza tanti scrupoli.


Prima l'animo era chiuso in un recesso, un antro dentro il quale l'essere si era rintanato, isolato, nascosto, appartato, perché confusamente consapevole di non aver agito rettamente e rimuginava pensieri di pentimento, poi, a volte all'improvviso, altre volte a seguito di un lungo processo di maturazione, è uscito all'aperto ed ha ritrovato la luce del sole.

"Recedere", in latino significa "tirarsi indietro", quindi isolarsi. "Resipiscere", nella stessa lingua, vuol dire "rinvenire", come di persona svenuta che si riprende, quindi anche un "farsi avanti", "uscire allo scoperto" o come diciamo, "metterci la faccia".

E resipiscenza, nella lingua italiana vuol dire "ravvedersi", riconoscere il proprio errore, che è come uscire da una grotta in cui si viveva isolati ed obnubilati, in preda all'ignavia e tornare a far parte di un consesso civile, trovare la forza di dire "ho sbagliato" e riappacificarsi con sé e con il mondo circostante.

Errare è umano, persistere nell'errore, diabolico, diceva mia madre, quando si accorgeva che qualcosa non andava in me e allora, con amore, riusciva a rovistare nel mio animo, trovare la marachella e farmi sputare l'osso del pentimento. Ed io tornavo a vivere, anche se non sapevo di avere avuto un momento di resipiscenza.

Comunque la resipiscenza è cosa nobile e rara, perciò se ne parla così poco.

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