RABBUFFO
Rabbuffo è una parola dai nobili natali, risale ai tempi della formazione della lingua italiana, ed è stata usata anche da Dante nell'Inferno. Proviene dal verbo "rabbuffare" che ha un ventaglio di significati, abbastanza vicini l'uno all'altro, ma distinti, andando da "minacciare bufera", che si dice sia per indicare le condizioni del tempo che si è messo a brutto, sia per significare la minaccia che proviene da qualcuno di fare sfracelli .
In questa accezione il verbo si fa derivare da "buffare", che vuol dire "soffiare", vedi per esempio il "buffo" di vento che gonfia le vele e fa fischiare le sartie. La bava di vento tanto attesa dalla ciurma stremata di un veliero, fermo da giorni per un bonaccia prolungata (Conrad insegna).
Dal minacciare bufera, per effetto del vento, si passa a "scompigliare", per esempio capelli o peli, che è il secondo significato della parola.
Questo tipo di scompigliatura può essere effetto,oltre che del vento, anche di una rude strigliata, come dire un trattamento non proprio delicato, che però porta direttamente al terzo e più pregnante dei suoi significati, che è la "lavata di capo", espressione colorita, per dire un rimprovero severo, dal quale si esce ripuliti, essendo stata talmente convincente, da scomporre ben più dei soli capelli. Lo stesso effetto si può raggiungere, come si può ben vedere, anche con i successivi termini similari, nei quali resta il senso della bufera che si addensa(1), come "ripassata", "rampogna", "cazziata", "liscioebusso", "ramanzina", "partaccia", "arronzata" e "cicchetto", ultimo di una serie veramente imponente di parole che formano una cascata impetuosa come una grandinata, che si abbatte su malcapitato vittima del rabbuffo, al quale si addice un aggettivo di pari dignità, come "solenne", "capo", "sonoro"' ed altri.
A questo proposito, una piccola nota di colore familiare è data da una espressione che la zia Gina, la nostra (mia e dei miei fratelli) impareggiabile educatrice, come dire, dal basso, dal lato popolare, del quale lei era maestra, usava spesso per dare l'idea della gravità di una rampogna, che poteva influire sul resto della vita di chi ne era l'oggetto, che consisteva nel dire "te la faccio appendere per breve (2)", volendo significare che il rimprovero, proprio perché solenne, lui, l'oggetto, non se lo sarebbe scordato più e quindi questo lo avrebbe aiutato a preservarsi dal ricadere nell'errore che lo aveva causato.
(1) Tranne nei termini burleschi di espressioni come "fare barba capelli a baffi", come dire un trattamento completo come quello che si può ricevere in un salone di barberia, o "serenata celeste" che nessuno vorrebbe sentirsi fare da un "cantante" tutt'altro che amichevole.
(2) Il "breve" è un antico talismano di fattura popolare in auge fino agli inizi del secolo scorso nella tradizione folkloristica abruzzese. Si compone di un sacchetto di stoffa contenente formule ed elementi apotropaici, sigillati con ago e filo e sui quali è necessario mantenere tassativamente il riserbo. Veniva solitamente regalato a neonati in fasce, parenti o amici per proteggerli dalle avversità, e nascosto, o cucito, all'interno dei vestiti. (dal blog "Gotico abruzzese" attivo sul web).
In questa accezione il verbo si fa derivare da "buffare", che vuol dire "soffiare", vedi per esempio il "buffo" di vento che gonfia le vele e fa fischiare le sartie. La bava di vento tanto attesa dalla ciurma stremata di un veliero, fermo da giorni per un bonaccia prolungata (Conrad insegna).
Dal minacciare bufera, per effetto del vento, si passa a "scompigliare", per esempio capelli o peli, che è il secondo significato della parola.
Questo tipo di scompigliatura può essere effetto,oltre che del vento, anche di una rude strigliata, come dire un trattamento non proprio delicato, che però porta direttamente al terzo e più pregnante dei suoi significati, che è la "lavata di capo", espressione colorita, per dire un rimprovero severo, dal quale si esce ripuliti, essendo stata talmente convincente, da scomporre ben più dei soli capelli. Lo stesso effetto si può raggiungere, come si può ben vedere, anche con i successivi termini similari, nei quali resta il senso della bufera che si addensa(1), come "ripassata", "rampogna", "cazziata", "liscioebusso", "ramanzina", "partaccia", "arronzata" e "cicchetto", ultimo di una serie veramente imponente di parole che formano una cascata impetuosa come una grandinata, che si abbatte su malcapitato vittima del rabbuffo, al quale si addice un aggettivo di pari dignità, come "solenne", "capo", "sonoro"' ed altri.
A questo proposito, una piccola nota di colore familiare è data da una espressione che la zia Gina, la nostra (mia e dei miei fratelli) impareggiabile educatrice, come dire, dal basso, dal lato popolare, del quale lei era maestra, usava spesso per dare l'idea della gravità di una rampogna, che poteva influire sul resto della vita di chi ne era l'oggetto, che consisteva nel dire "te la faccio appendere per breve (2)", volendo significare che il rimprovero, proprio perché solenne, lui, l'oggetto, non se lo sarebbe scordato più e quindi questo lo avrebbe aiutato a preservarsi dal ricadere nell'errore che lo aveva causato.
(1) Tranne nei termini burleschi di espressioni come "fare barba capelli a baffi", come dire un trattamento completo come quello che si può ricevere in un salone di barberia, o "serenata celeste" che nessuno vorrebbe sentirsi fare da un "cantante" tutt'altro che amichevole.
(2) Il "breve" è un antico talismano di fattura popolare in auge fino agli inizi del secolo scorso nella tradizione folkloristica abruzzese. Si compone di un sacchetto di stoffa contenente formule ed elementi apotropaici, sigillati con ago e filo e sui quali è necessario mantenere tassativamente il riserbo. Veniva solitamente regalato a neonati in fasce, parenti o amici per proteggerli dalle avversità, e nascosto, o cucito, all'interno dei vestiti. (dal blog "Gotico abruzzese" attivo sul web).
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