CANTO DELLA PIANURA

Parte Prima: La Trilogia di Holt

Una trilogia per cantare il canto della pianura. Canto, canto sommesso che si avverte a tratti, fra le folate di vento degli ampi spazi, ma con un significato particolare. La parola "plainsong", tradotta come "canto della pianura", si può tradurre anche come "canto piano", che è il canto più antico del mondo, solo vocale senza accompagnamento di strumenti musicali, come è il canto "a cappella", così chiamato perché i cantori erano situati in una cappella laterale rispetto a quella dove si svolgevano le funzioni.

Cammino di Santiago - 2015

Vorrei aggiungere che l'idea del "piano", si riscontra anche nel modello stesso di scrittura di Haruf nel senso di scrittura pianeggiante, lineare, senza asperità, monocorde. Ed anche nei sentimenti espressi dall'autore, che non sono mai esasperati, ma moderati, intimamente sofferti, ma in sordina, non propalati. Egli è il maestro della frugalità nella perfezione della sintesi narrativa. E questo sarebbe un primo significato. Un canto monodico di sole voci. Il secondo, naturalmente, è quello di un inno elevato alle terre pianeggianti del centro America, dove l'autore è nato e vissuto.

Quante trilogie in letteratura! Il numero tre piace agli scrittori, come perfetto, ma qui c'è l'incanto di un quarto volume, parole calibrate in "limine mortis", dolce e amaro nello stesso tempo, senza lacrime, come d'uso per questo grande che fa dei sentimenti piccoli scrigni segreti che si sentono ma non si vedono. Molti hanno scritto su questo scrittore, arrivato da noi quando purtroppo la sua vita stava per finire. Come per altri grandi, penso a David Foster Wallace, o Roberto Bolano, il piacere della scoperta è stato funestato dalla notizia della sua morte. Sono cose ormai scontate la sua fede nell'umanità, la sua strabiliante facilità di toccare le corde del cuore con un tocco così leggero da non lasciare traccia, il suo amore per la vita, l'attaccamento alla natura, la spontaneità di cui sono fatti i suoi personaggi, l'ambientazione ideale nella ormai mitica cittadina di Holt, luogo simbolo, crocevia del sogno vissuto ad occhi aperti, dove molti vorrebbero andare a vivere. Piuttosto, se qualcosa mi è lecito aggiungere al già detto, lasciatemi cazzeggiare (ce l'ho messo per sembrare un po' più moderno)  su alcuni particolari, magari marginali, della sua arte, che me lo hanno fatto sentire vicino come un fratello (per questo mi permetto un linguaggio, diciamo così, familiare).

Mi sarebbe piaciuto essere come lui. Grande nell'animo, modesto nei fatti , con le sue doti di genuinità e di immediatezza, umile tra i grandi della sua generazione, che è anche la mia, Hemingway, Carver, Williams, D'J Pancake. Nomi sparati a caso, molti altri ve ne sarebbero. Steinbeck in particolare, col quale mi sembra condivida un anelito di religiosità pagana, immanente nelle cose, fatta di sangue, escrementi e puri sentimenti. Una sorta di materia spiritualizzata. O panteismo. La trilogia è dedicata, oltre che alla pianura, alla città di Holt un piccolo micromondo, con la pompa di benzina, lo spaccio, il caffè, la taverna, la sua Highway, unica via di fuga fuori dai suoi confini.

Immagino Haruf come un uomo con gli occhiali, lo sguardo mite, le mezze maniche e la giacca stazzonata, avulso dai grandi problemi, sollecito sulle piccole questioni che accadono ogni giorno, schivo e poco propenso alle cerimonie e ai riconoscimenti ufficiali, pronto a dare una mano a chiunque si trovi in stato di bisogno, togliendosi la giacca e scorciandosi le maniche della camicia, per prestarsi a fare anche i lavori più umili. L'aria che si respira nei suoi racconti è quella degli ampi spazi della prateria, spazzata dai venti gelidi delle montagne, delle fattorie con il recinto per i cavalli e la stalla confortevole, dei depositi di fieno e del bestiame allevato allo stato brado. Uomini rudi ma dal cuore gentile, avvezzi ai lavori pesanti, che occupano l'intera giornata, che lasciano poco spazio ai sentimenti avvertiti, ma poco esibiti, per una sorta di pudore schivo. Haruf è convinto che fondamentalmente il genere umano sia fatto di pasta buona e che i buoni sentimenti prevalgano sui cattivi. Tuttavia le mele marce non mancano, anche se sono poche e isolate. Quello che fa rabbia è la constatazione che per lo più le malefatte restano impunite. I Bekham e gli Hoyts sfuggono ad una giusta punizione. Del primo si sa che ha preso un avvocato per infierire sulla vittima, ma di questa azione non si conosce l'esito, mentre del secondo si è quasi certi che non sarà mai ritrovato dalla polizia e quindi la farà franca.

Anche la comunità di Holt, buona per l'opera meritoria di singoli appartenenti, presa nel complesso, agisce come un gregge, o peggio un branco, lasciando prevalere a volte gli istinti peggiori. Questo però succede in ogni società umana. I fedeli della locale chiesa battista, contestano il nuovo pastore che interpreta alla lettera i comandamenti di Gesù. Quando egli sostiene che una norma come quella che dice di porgere l'altra guancia a chi ti offende, è valida in ogni caso e va applicata sempre, scoppia una rivoluzione e i fedeli abbandonano il tempio, insultandolo. Per loro un simile comandamento è valido solo in astratto, va inteso solo in senso ideale e non può essere applicato ai casi reali, in cui bisogna salvaguardare il proprio onore e l'interesse generale. C'è da dire che il fatto avviene dopo l'11 settembre 2001 e l'America era sotto shock per l'attentato alle torri gemelle cosa per cui il discorso del pastore viene interpretato come atto di connivenza con i terroristi ed il pastore è costretto a lasciare il suo posto.

Parte Seconda: Intermezzo

a) Haruf-Dad

Nell'ultimo libro di Haruf, Le Nostre Anime di Notte, poi, l'intera comunità di Holt si dimostra bigotta e ipocrita, disapprovando l'unione atipica di due anziani, un uomo e una donna, entrambi vedovi che si ritrovano ogni notte a letto, per farsi compagnia ed i due sono costretti a separarsi, contro la loro volontà. Questo è un tema caro allo scrittore, l'amore che va oltre l'unione materiale e si manifesta in piccoli gesti di solidarietà e comprensione. Nel primo libro della Trilogia, Benedizione, che in ordine di tempo, quanto a data di composizione, è in realtà il terzo ed è perciò il più vicino all'ultimo sopra citato (v.più avanti), c'è una breve scena molto tenera che si svolge tra Dad il protagonista assoluto del libro, che è a letto malato terminale e la moglie Mary che lo assiste e lo tiene pulito ogni volta che per incontinenza, si sporca. Una volta dopo averlo pulito dietro, Mary passa a pulirlo davanti, tra le gambe.

"Non c'è nulla, lì, dice lui a lei."
"Però una volta c'era, risponde la moglie e ci siamo divertiti abbastanza, vero?"

Il vecchio non risponde.

Questo amore che è comprensione senza essere pietà, diventa il tema dell'ultimo romanzo di Haruf, ormai sul letto di morte e la vedova di Kent, in una intervista pubblicata su "La Repubblica.it", parla degli ultimi giorni di vita del marito, morto a 71 anni per una malattia polmonare incurabile, che lo aveva svuotato di ogni energia e ne parla in termini affettuosi, ma semplici, senza enfasi emotiva, informandoci della genesi di questo suo ultimo romanzo, Le Nostre Anime di Notte, uscito postumo, che narra appunto la storia di amore di una coppia di anziani, che dichiaratamente si rifà alla loro storia d'amore. Cathy è stata la seconda moglie dello scrittore e, se si deve credere a quanto narrato nel libro, la loro unione fu un patto contro la notte (l'espressione è mia, quindi potrebbe non corrispondere a quanto da lei dichiarato). La notte era la cosa più brutta per Kent e loro la trascorrevano a letto, tenendosi per mano e parlando delle cose più diverse. Immaginiamoci il tenore di questi colloqui nell'intimità dei corpi e degli spiriti, sotto l'influsso delle emozioni che di notte si dilatano e possono assumere le caratteristiche fantastiche del sonno. Con animi così sensili come i loro.

La notte dell'ultimo giorno di vita di Kent, Cathy gli chiese "Hai paura di morire?" e lui rispose "no". "Quando vorresti morire?". "Questa notte", rispose. Al mattino era morto. Serenamente come voleva, Senza drammi. Una morte esemplare, come quella che ognuno di noi vorrebbe fosse riservata a se stesso. Condizione difficile da realizzarsi. Ma non per tutti; c'è però chi ci riesce.

b) Alfredo

Sono stato anch'io testimone di una morte esemplare, quella di un caro amico, avvenuta in una atmosfera di serenità e consapevolezza, come a pochi spiriti è concesso. Ho ancora in mente gli avvenimenti degli ultimi giorni di vita di Alfredo. Anche lui sapeva di essere nella fase terminale della malattia e parlando al telefono con me (che cercavo di consolarlo), raccogliendo con fatica le sue ultime forze, cercava, lui, di infondere in me la sensazione che tutto andava come doveva andare, come lui aveva previsto e voleva che andasse. Con determinazione e senza compianti.

"Bruno", mi disse con un fil di voce, "posso morire da un momento all'altro e ti assicuro che prima è, meglio è, per tutti. Se avvenisse in questo momento, sarebbe perfetto; sono tutti accanto a me ed ho salutato tutti. Addio, ti lascio, perché non posso più parlare, sono troppo debole". Sentii la comunicazione che si interrompeva e io rimasi senza parole. Dopo qualche ora mi giunse la triste conferma: Stefania, sua cugina, per telefono mi informò che tutto si era svolto come previsto.

Parte terza: Inno alla vita

Tornando ad Haruf, mi piacerebbe conoscere il processo di formazione di questa Trilogia alla quale si aggiunge anche il quarto libro, che altro non è se non una continuazione dei precedenti. E non solo per l'ambientazione scelta che ancora una volta è Holt, il suo luogo del cuore. Ma perché mi sembra che tutto il mondo poetico di Haruf abbia trovato composizione in questo ultimo, patetico, inno alla gioia delle soddisfazioni intime, cercate, godute e conculcate da eventi purtroppo incontrollabili. Nella stessa lettera aperta diretta ai lettori, di cui ho accennato sopra, Cathy Haruf, ha dato una spiegazione dell'inversione numerica dei tre libri che costituiscono la Trilogia, rispetto alle date di composizione degli stessi, dovuta, come lei dice, a motivi editoriali.

Il primo libro in ordine di tempo, scritto da Haruf è proprio Plainsong, Canto della Pianura. Il secondo volume, Crepuscolo, è la continuazione del primo e narra di avvenimenti che si avviano ad una conclusione,senza tuttavia esaurirsi, come certi tramonti che degradano lentamente verso il buio della notte, ma sembrano non volersi spegnere. Questi primi due volumi narrano soprattutto della vita dei due anziani fratelli Mc Pheron, vecchi allevatori di bestiame, che prendono in casa una ragazza incinta, cacciata di casa dalla madre (un pessimo esempio di non amore materno), ed in questa scelta trovano la realizzazione, la ragione principale della loro vita. Ma il vero capolavoro è costituito dal terzo volume, Benedizione, scritto nella pienezza dei mezzi narrativi di cui Haruf aveva già dato prova, affinati mano a mano, con l'esercizio dei primi due. Le vicende di questo terzo volume, temporalmente si collocano come successivi rispetto alle storie dei fratelli Mc Pheron. Prima di morire, infatti, Dad si fa portare sui luoghi a lui cari e tra questi, c'è la fattoria ormai in abbandono dei due fratelli, di cui Haruf aveva narrato nei suoi due primi romanzi (secondo e terzo della raccolta).

Accertato quanto sopra, sono del parere che nelle ristampe successive della Trilogia, sia opportuno modificare l'ordine numerico dei tre volumi, rispettando quello cronologico della composizione e non della pubblicazione di ognuno di essi.

Commenti

  1. a questo punto mi chiedo perché mai non hai mai preso contatto con qualche editore o casa editrice proponendoti come recensore e presentatore delle opere che l'editore stesso pensa di immettere sul mercato pubblicandole. Va con se che per fare un lavoro del genere dovresti poter leggere gli elaborati prima della pubblicazione.

    Vittorio

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  2. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  3. Ammiro la capacità di profonda e accurata analisi, accompagnata da una esposizione chiara e comprensibile anche da chi, come me, non conosce affatto l'argomento trattato. Non so che dire oltre ... intuisco fumosamente che potrebbe lasciarci una specie di memoriale, nel quale tutte le sue riflessioni, suscitate dalla ricchezza di ricordi di vita vidduta e di letture fatte, verrebbero raccolte e legate da un filo conduttore romanzato. Un psedo romanzo la cui unica ragione sarebbe esporre pensieri e riflessioni, mentre la vicenda, banale come la vita quotidiana di un personaggio della sua età da lui interpretato in un luogo immaginario, sarebbe solo la ragione per suscitare pensieri, riflessioni e ricordi. Già è bello che grazie al suo blog ci dona tanto, ma se trovasse interessante questa mia proposta credo che ne uscirebbe un'opera pubblicabile, non per soddisfare il suo narcisismo o ego che dir si voglia che non corrisponde affatto alla sua personalità, a mio vedere, ma per donare a eventuali lettori un utile spunto per riflettere sul proprio vissuto.
    Lucio Di Eugenio
    Grazie Lucio

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    1. Risponde Giuseppe Simone Aielli
      Caro Lucio, oggi vogliono tutti pubblicare qualcosa! Papà non credo che voglia... e io nemmeno! In questi casi, cmq, si prende il manoscritto e si manda. Poi decide la sorte se l'opera vale oppure no. Solo che per me già vale... Se sapessi scrivere come lui mi ci metterei di brutto.

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    2. Lucio Di Eugenio ha scritto: "Anche solamente avere la soddisfazione di aver buttato giù il manoscritto da passare almeno agli amici fidati sarebbe tanto. per l'editoria con quello che si stampa oggi ... boh, potrebbe anche accadere che qualche casa editrice ancora interessata ad un poco di cultura e non solo al profitto potrebbe prenderlo in considerazione."

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