PALINGENESI

Vi sono parole che incutono timore reverenziale, tanto sono paludate. Una è palingenesi che odora subito di incenso e fa pensare al chiuso di una chiesa, sempre un pochino lugubre. Ma non lasciatevi prendere dal senso di fastidio, perché non è di questo che voglio parlarvi.

L'etimologia della parola è delle più semplici: viene da "palin" che vuol dire "di nuovo" e "genesis" "nascita", origine, che quindi significa "rinascita". "Genesis" proviene dal verbo greco "gennào", genero, creo e da esso viene anche "gente", la moltitudine dei "creati". Come tutti sapete è il primo libro della Bibbia, che si chiama così perché parla della creazione del mondo; in ebraico "Berescit", "In principio", che secondo l'uso ebraico, sono le prime parole del libro.

Rinascita è una parola impegnativa. Banalizzando, si potrebbe dire che siamo di fronte al tema ricorrente del nuovo inizio, quello a cui banalmente appunto, si dice che ognuno abbia diritto, dopo aver sbagliato. Ma in realtà la cosa è molto più complessa e richiederebbe un esame più approfondito, ma il fatto è che non si sa da dove cominciare. La palingenesi sovrasta, con millenni di storia. Teorie filosofiche fin dall'antichità e diatribe religiose o pseudo-religiose se ne sono appropriate come un terreno di loro esclusiva competenza. Ed a loro la lasciamo. Ma l'origine della palingenesi è anteriore ad almeno alcune delle religioni che se ne sono impossessate ed io intendo parlarne liberamente in modo laico e generico. Rinascita, quindi rinnovamento, rigenerazione, una nuova opportunità, un secondo, o terzo o ennesimo inizio. Ma anche quindi ritorno, alle origini, al senso e alle abitudini perdute, al buono che c'era nella cose e che è andato perso.

Palingenesi (Foto scattata presso Arte Sella TN) - 2017

La palingenesi riguarda in primo luogo lo spirito, è una fuga dall'ombra, una catarsi (acc.! Ci risiamo con questa puzza di ceri), un disvelamento, non della verità, che ormai sappiamo essere cosa relativa e sfuggente, quindi non la cerchiamo più, ma di qualcosa che è vicina a noi ma non vediamo ancora. Il rinnovamento che tutti auspichiamo a parole, ma neghiamo nei fatti, ha molti risvolti e potrebbe veramente avvenire, sol che l'umanità smettesse di essere come è. Palingenesi sociale, politica e morale, ce n'è per tutti i gusti. In ognuno di questi campi, noi ora siamo al livello più basso ed è inutile rimbalzarsi di chi è la colpa. Ci sarebbe molto da dire. Ma non è compito mio.

Soffermiamoci solo per un attimo, non per fare il solito "peana'" ma per gridare al mondo, ma dove siamo finiti? Non mi risulta che Gesù nelle sue predicazioni l'abbia mai usata, ma la palingenesi era in tutti i suoi insegnamenti; duemila anni di cristianesimo non ci hanno scalfito minimamente e siamo sempre più simili a quella plebaglia che preferì Barabba a lui.

E ancora lo condanneremmo, se tornasse.

Centocinquantasette anni di storia unitaria, ci trovano sempre più divisi; la politica nobile degli inizi, oggi è decaduta a cosa vile e disdicevole buona per intriganti e corrotti. I nostri destini ora sono nelle mani di un Salvini gradassone, un Di Maio puntiglioso, statista improvvisato, Berlusconi una salma imbalsamata ancora sotto impeachment e in attesa di una sentenza di Strasburgo come ultima spiaggia politica, l'incorreggibile Renzi ed il "nuovo che avanza" con Bersani, Fratoianni e Pisapia (e l'improbabile Grasso).

Non penso a me e a quelli della mia generazione e dintorni, che presto potremmo disinteressarci di queste miserie, ma ai giovani, che il nostro comportamento ha scoraggiato dall'impegno civile e politico e si ritroveranno sempre peggio, se, come potrebbe avvenire già alle prossime elezioni di marzo, dovessero prevalere i peggiori.

Dio solo sa (1) quanto avremmo bisogno di una palingenesi generale! Non mala tempora currunt, sed peiora.

(1) Uno dei precetti della religione cattolica vieta di nominare il nome di Dio invano (quando non serve). Noi invece lo facciamo correntemente, come modo di dire, o come esclamazione. Non per disprezzo della norma, credo, ma perché siamo abituati a rivolgerci a lui, credenti e non credenti, intimamente e sempre con un senso di rispetto, come paradossalmente, ma anche genialmente appare evidente nella espressione scherzosa ma solo in apparenza, "ateo per grazia di Dio", nel senso che, se esistesse, anche lui approverebbe la scelta negazionista.

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