L'ETA' DELLA RIVOLTA

Quella del baccalà fu una delle grandi battaglie condotte da me e da mio fratello Vittorio contro il regime dittatoriale instaurato dentro la nostra famiglia dai nostri genitori e dalla zia Gina schierata dalla parte del potere per motivi istituzionali, ma spesso anche dalla nostra per complicità con i più deboli.

"Verso una nuova piattaforma rivendicativa". Con M. Landini. Bologna 21-3-2015

Ci tengo a precisare che le nostre rivendicazioni non erano limitate alla richiesta di un miglior trattamento alimentare, ma si estendevano anche a questioni di principio, come la libertà, che noi rivendicavamo di uscire e di rientrare quando volevamo, andare al cinema, giocare ecc.

Debbo ricordare che l'età della rivolta che tutti i ragazzi attraversano nel passaggio dall'infanzia all'adolescenza (che bella parola "adolescenza", vero? viene dal verbo latino "adolescere" che vuol dire "crescere"), per noi coincise con la fine della guerra, che portò uno spirito libertario di cui noi ci imbevevamo, anche se le condizioni generali del paese non erano proprio delle migliori. Vi erano ristrettezze per tutto e per quanto riguarda i prodotti alimentari, scarseggiavano e non c'era proprio da fare questioni. Quindi le nostre proteste sotto questo profilo cadevano nel vuoto.

Mio fratello Vittorio aveva fiducia in me. La fiducia del fratello minore nei confronti del fratello maggiore. Da piccolo era molto ardimentoso e battagliero ed essendo spesso in mia compagnia, aveva la possibilità di frequentare ragazzi più grandi. Questo lo faceva sentire sicuro. Nelle contese tra bande rivali, infatti, era sempre per una soluzione di forza e si trovava in prima linea (celebre la sua affermazione "Questa offesa va lavata nel sangue!"). Non che mancasse di iniziativa propria , anzi. Forse a volte ne teneva un po' troppa e non so se non lo facesse per emulazione. Certo è che nel gruppo si sentiva protetto e partiva con slancio in ogni azione. Io invece mi comportavo con lui con la furfanteria un po' gaglioffa del fratello maggiore, che incoscientemente approfittava della sua ingenuità, per un vantaggio personale e poco onorevole. Quando si trattava di rientrare in casa e io sapevo che si era fatto tardi, perché avevamo perso tempo giocando e si trattava di affrontare le immancabili strigliate di mamma o di zia Gina, io mandavo avanti lui con la sua franca incoscienza, mentre io, vigliaccamente cercavo di svicolare per evitare il peggio.

L'ho deluso più volte, ma la sua fiducia non è mai venuta meno. "L'uomo nuovo dalle idee nuove" soleva dire di me, quando i nostri genitori criticavano qualche mio atteggiamento, da lui condiviso. Io ero antesignano delle lotte di liberazione degli oppressi in famiglia, e Vittorio ne era il più fiero sostenitore e portabandiera. Con grande coraggio, quando eravamo riuniti a tavola, si alzava dalla sedia e levava la protesta per questo o per quello, ripetendo le frasi che aveva sentito dire da me, sicuro ogni volta che io sarei prontamente intervenuto in sua difesa, in caso di bisogno.

Quella del baccalà, fu la prima grande occasione di divisione tra noi due, la volta che la sua fiducia, fino ad allora incrollabile, fu messa a dura prova, creando in lui un moto di indignazione e di sdegno che non diminuì nonostante ogni mio tentativo di riconciliazione. Il baccalà a quell'epoca era un alimento vile, di poco prezzo, che si mangiava per necessità. Sulla nostra tavola era immancabile il venerdì, perché soddisfaceva due esigenze, quella economica del risparmio e quella religiosa, per mia madre, del rispetto del divieto di mangiar carne in quel giorno della settimana. Da tempo avevo cominciato una lotta crudele contro di esso, infliggendo ai miei e soprattutto a mia madre, che assolveva al compito di procurare il cibo e alla zia Gina che lo cucinava, un dolore di cui allora non mi rendevo conto. Dissennatamente parlavo di "schifezza" che ci mandavano i norvegesi per disprezzo verso di noi e che ci pisciavano sopra per farlo salato, e che avrei cancellato dal mio calendario ogni traccia dei venerdì, in odio al baccalà e ai divieti della chiesa, solo che fossi riuscito a conquistarmi la libertà.

Ora occorrerebbe qualche notazione di storia dell'alimentazione che a me manca, per spiegare la grande evoluzione che questa qualità di cibo ha subito nel tempo, da quando noi eravamo ragazzi, ad oggi, per far capire che quella che adesso è ritenuta una specialità, un piatto da gran gourmet, all'epoca, in tempi di scarsità di prodotti alimentari e di ristrettezza economica, quel pesce salato, importato dai paesi nordici, non era affatto un piatto prelibato, tutt'altro. Ciò avveniva anche a ragione del fatto che mancava da noi una cultura atta a valorizzare certi prodotti, e nelle famiglie ci si doveva spesso arrangiare con quello che si aveva. Sta di fatto che ogni volta che a tavola ricompariva il baccalà, alte si levavano le proteste, mie e di Vittorio, mentre le nostre sorelle, più accondiscendenti, rimanevano zitte, in attesa di vedere come andava a finire.

La guerra durò molto tempo ed avvenne che, vuoi per la stanchezza dei contendenti, vuoi perchè nel frattempo molte cose erano cambiate, un certo benessere si cominciava ad avvertire e anche la qualità di quel prodotto cominciò a migliorare, all'improvviso ebbi una botta di resipiscenza. Un bel giorno, di venerdì, quando la zia Gina si presentò in tavola con la casseruola del baccalà e, nel silenzio generale, un silenzio carico di aspettativa, fece le porzioni, ognuno con il piatto fumante davanti, in attesa delle solite rimostranze, appena Vittorio mi chiamò in causa, incitandomi a dire quello che altre volte avevo detto, io, tra la meraviglia generale, cominciai a mangiare e dopo il primo assaggio, mi rivolsi agli altri e dissi:"Sapete che questo baccalà è veramente buono?"

Vittorio non poteva credere alle proprie orecchie ed anche gli altri erano sbalorditi. Papà, mamma e zia Gina, dopo il primo momento di sconcerto, tirarono un sospiro di sollievo. Le ragazze, mute, cominciarono a mangiare. Solo mio fratello, in piedi di fronte al suo piatto, dopo aver perso la speranza che la mia fosse solo una trovata geniale per meglio infliggere il colpo finale, come ebbe chiara finalmente l'idea che io davvero ero passato dall'altra parte, al colmo della rabbia e del disprezzo, mi apostrofò chiamandomi "traditore". "Sei un traditore, vigliacco e traditore. Non ti voglio più sentire!". Rimase solo sulle sue posizioni e a nulla valsero le parole di conciliazione che io pronunciai per far capire a lui e agli altri che il mio non era un voltafaccia, ma una autentica conversione. Avevo capito che a me il baccalà piaceva davvero. Era come se davanti ai miei occhi fosse caduto un velo ed io avessi visto per la prima volta quello che forse c'era da tempo ma io non potevo vedere perché accecato dal pregiudizio.


Vittorio Aielli hai omesso di dire che alla dichiarazione di conversione, come tu la chiamasti, segui la comunicazione del tuo imminente matrimonio. Quindi quella conversione era dovuta a ben altre considerazioni. Senza rancore: la ragion di stato deve sempre prevalere.

Lucio Di Eugenio Bella e divertente novella, di elevata qualità letteraria come al solito. Anche io detestavo il baccalà, mentre ora con amici andiamo a caccia di ristoranti, trattorie,agriturismi,sagre e altri locali anche assai spartani per trovare dove lo fanno più gustoso.Gestire

Gianni Marcozzi Io ho cominciato ad apprezzare seriamente il baccalà solo in età adulta in quanto mi piaceva tantissimo quello che faceva la mia futura suocera.
Ma, a proposito di frasi famose di zio Vittorio, ce ne sarebbero tante che meriterebbero una menzione più ap...Altro...

Bruno Aielli E Pinuccio che con occhi spiritati sussurrava :"I mostri delle caverne sono ancora vivi nella tomba dei morti!"

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