EMPATIA
Dov'era l'empatia quando noi eravamo ragazzi? Perché non ne abbiamo mai sentito parlare? Simpatia, era al più. Compassione, per quelli che stavano peggio di noi. Ma non lo era poi tanto. Empatia, una parola così bella, misteriosa, quasi ambigua, così poco capita. Entrare nei dolori degli altri, prendere su di sé il cruccio che li arrovella. Gesù si fece carico di tutti i peccati del mondo. E volle scontarli per tutti, con pene atroci.
"En", dentro, "pathos", sentimento, empatia vuol dire capacità di comprendere i sentimenti altrui, senza e prima che vengano esteriorizzati. "Mettersi nei panni" è un modo di dire poco simpatico, oltreché, a mio parere, riduttivo, in ogni caso poco igienico. Entrare nella sfera spirituale di una persona, non è come indossare la sua camicia o le sue mutande. Si passa dalla cosa più eterea a quella più materiale. Un lavacro dell'anima non è come un lavaggio di panni sporchi. Ma si può parlare di lavacro? Siamo sicuri che questa comunanza di sentimenti porti uno sgravio di sofferenze, ad una partecipazione sofferta?
Ora si parla sempre di più di empatia. Proprio adesso che ogni pietà sembra scomparsa da questo mondo. E che i sentimenti anche più elementari vengono calpestati senza ritegno. Ciò non avviene per caso. La parola, di conio piuttosto recente, fine dell'ottocento, si presta a diverse interpretazioni ed è foriera di non pochi dubbi ed equivoci. Lasciamo perdere le teorie psicanalitiche e antropomorfe, se questa speciale sensibilità, definita variamente come sintonia, immedesimazione, o altro, sia un fattore genetico, o si possa acquisire in corso d'opera, sta di fatto che questa parola fu usata originariamente in ambito artistico figurativo per indicare la capacità emozionale di fronte ad un'opera d'arte, una specie di sensibilità che porta a farla propria con un moto di partecipazione, o a respingerla, per un motivo di dissenso o di disturbo che essa può provocare.
"Simpatia estetica" fu definita dagli stessi primi utilizzatori del termine. E fu trovato anche il suo contrario, denominato "dispatia", che sarebbe la mancanza di tale sensibilità. Oggi, con l'uso intensivo che se ne fa, abbastanza generico e non sempre appropriato, l'empatia è la facoltà di comprendere lo stato d'animo altrui; ma su un punto bisogna fare chiarezza. Contrariamente a quanto si crede, anche perché sembra suggerito dalla parola stessa, per sé accattivante, la partecipazione non è necessariamente di tipo affettivo, ma può essere ed, anzi originariamente era, assolutamente impersonale, non volendo coinvolgere giudizi di tipo valutativo e tanto meno moralistico.
Come quando si raccoglie una deposizione, quello che conta è che il fatto narrato sia riportato esattamente, limitandosi la partecipazione sim-patica di chi la raccoglie, ad un apporto di comprensione razionale, volta a capire e rendere intelligibile, spiegare, l'accaduto, senza emozioni, né valutazioni. Una forma anodina di immedesimazione. Se si riflette su questo aspetto, se ne sconsiglia un uso indiscriminato, se non strettamente necessario.
Senza titolo - 2017 |
"En", dentro, "pathos", sentimento, empatia vuol dire capacità di comprendere i sentimenti altrui, senza e prima che vengano esteriorizzati. "Mettersi nei panni" è un modo di dire poco simpatico, oltreché, a mio parere, riduttivo, in ogni caso poco igienico. Entrare nella sfera spirituale di una persona, non è come indossare la sua camicia o le sue mutande. Si passa dalla cosa più eterea a quella più materiale. Un lavacro dell'anima non è come un lavaggio di panni sporchi. Ma si può parlare di lavacro? Siamo sicuri che questa comunanza di sentimenti porti uno sgravio di sofferenze, ad una partecipazione sofferta?
Ora si parla sempre di più di empatia. Proprio adesso che ogni pietà sembra scomparsa da questo mondo. E che i sentimenti anche più elementari vengono calpestati senza ritegno. Ciò non avviene per caso. La parola, di conio piuttosto recente, fine dell'ottocento, si presta a diverse interpretazioni ed è foriera di non pochi dubbi ed equivoci. Lasciamo perdere le teorie psicanalitiche e antropomorfe, se questa speciale sensibilità, definita variamente come sintonia, immedesimazione, o altro, sia un fattore genetico, o si possa acquisire in corso d'opera, sta di fatto che questa parola fu usata originariamente in ambito artistico figurativo per indicare la capacità emozionale di fronte ad un'opera d'arte, una specie di sensibilità che porta a farla propria con un moto di partecipazione, o a respingerla, per un motivo di dissenso o di disturbo che essa può provocare.
"Simpatia estetica" fu definita dagli stessi primi utilizzatori del termine. E fu trovato anche il suo contrario, denominato "dispatia", che sarebbe la mancanza di tale sensibilità. Oggi, con l'uso intensivo che se ne fa, abbastanza generico e non sempre appropriato, l'empatia è la facoltà di comprendere lo stato d'animo altrui; ma su un punto bisogna fare chiarezza. Contrariamente a quanto si crede, anche perché sembra suggerito dalla parola stessa, per sé accattivante, la partecipazione non è necessariamente di tipo affettivo, ma può essere ed, anzi originariamente era, assolutamente impersonale, non volendo coinvolgere giudizi di tipo valutativo e tanto meno moralistico.
Come quando si raccoglie una deposizione, quello che conta è che il fatto narrato sia riportato esattamente, limitandosi la partecipazione sim-patica di chi la raccoglie, ad un apporto di comprensione razionale, volta a capire e rendere intelligibile, spiegare, l'accaduto, senza emozioni, né valutazioni. Una forma anodina di immedesimazione. Se si riflette su questo aspetto, se ne sconsiglia un uso indiscriminato, se non strettamente necessario.
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