USCITA

Mio figlio Giuseppe, ieri, ha postato sul blog, a corredo del post intitolato 'Tranciante', un quadro della madre, che raffigura una processione funebre diretta all'ingresso di un cimitero.

A tutta prima sembra difficile trovare un collegamento, comunque non essenziale, tra le due cose, la fine della vita e quella che, con una evidente forzatura, chiamerei 'la fine di una civiltà' (sono conscio della ridicolaggine di tale espressione, dato il tenore dello scritto), di cui in certo qual modo si avvertono i sintomi nel post stesso, per via di certe mode non condivise dallo scrivente.

Se proprio si vuole cercare di dare un senso all'accostamento, di un quadro con uno scritto, quando l'immagine non è fatta per illustrare il contenuto dello scritto, ma solo per suscitare sensazioni che possano ampliare il campo di osservazione, con un richiamo ad un ventaglio di ipotesi, o altro ancora, allora, in senso del tutto ideale, si può pensare ad un collegamento tra due caducità, la brevità della vita e la transitorietà delle mode, con la considerazione ovvia che quel che ci può essere di non condivisibile in una moda, è destinato a finire come le vite di coloro che quelle mode hanno seguito o avversato.

Analizzando più direttamente il quadro, mi viene in mente l'atto unico di Luigi Pirandello intitolato “All'Uscita”, pensato originariamente in forma narrativa, col titolo di “Mistero Profano” del 1915, nel quale un gruppo di fantasmi (le sembianze di un uomo grasso, di un filosofo, un bambino ed una donna uccisa, vittima di un femminicidio-diremmo oggi) si ritrova presso il cancello di un Cimitero a disquisire sulle apparenze, della vita che fu, delle nostalgie, dei loro corpi ormai inutili, del loro stesso apparire che altro non è che illusione destinata a dissolversi di lì a poco.

Nel quadro postato, l'uscita è in realtà un'entrata che si intravede da lontano, ed è il luogo dove il mesto corteo (tutte donne, forse perché sono il simbolo dell'umana pietà?) è diretto. Un luogo dove si entra e non si esce, se non sotto forma di apparenze, perché, dice Pirandello, le tombe sono fatte paradossalmente per i vivi e non per i morti. Nel senso che i vivi fanno le tombe per i loro cari, per seppellirvi, insieme ai resti mortali del defunto, destinati a consumarsi, i propri sentimenti, pena, ira, dolore, rimpianto o quello che sia, in qualche caso anche sollievo, che se rimangono nei petti dei vivi, restano anche dentro quelle tombe. Un destino che è di tutti noi e che dovremmo tenere a mente in ogni momento importante della nostra vita.

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