PROPAGGINE

 


                                                                                  

Facciamo finta di non sapere niente, diceva Maurizio con voce annoiata, tanto a noi non dovrebbe risultare difficile – non dobbiamo fare quasi nessuno sforzo, vero Pancrazio? 

Ah per me, rispose subito l’alunno più disciplinato, uno le cose o le sa o non le sa; mi sembra inutile fare finta.

Inutile fare finta di sapere quando non sai, ma io propongo di fare finta di non sapere, quando anche sai; ma, come dicevo, per noi il problema non esiste.

Per noi del Circolo dell’Abecedario, che abbiamo la vocazione dell’ultimo, proporrei oggi di riflettere su una parola che come tante altre si presta a varie interpretazioni talvolta anche contraddittorie, ed è “propaggine”, qualcosa che dà il senso della vicinanza e nello stesso tempo della lontananza, del limite, della cosa estrema. O dell’ultima possibilità di cogliere qualcosa di importante, che non sarà la famosa pietra filosofale, ma…

Se ricordo bene, quando andavo a scuola, la maestra, per carità, una bella donna che ogni tanto mi mollava qualche scappellotto, perché io le guardavo le gambe da sotto al tavolo, una volta mi disse che ero sulla propaggine del libro di lettura in quanto ero fermo sempre alle prime pagine.

Maurizio non si lasciò distrarre, fece finta di non aver sentito e continuò:

la parola propaggine deriva dal verbo propagare che vuol dire moltiplicare, spargere o diffondere ed ha il significato di una cosa che si propaga nello spazio (es. la propaggine delle montagne),  o nel tempo (la propaggine di un evento), come derivazione, diramazione, discendenza da un altro fattore, e, anche in senso figurato, si estende ad altre cose o situazioni.

Della grande montagna del sapere noi vediamo i contrafforti le pareti e la cima innevata e impraticabile, ma operiamo sulle falde di essa e cerchiamo nei ciottoli, siamo alfieri del sapere di accatto, sulle pendici della conoscenza.

Questa volta Pancrazio sentì di essere nel campo suo:

A Colleminuccio, intervenne baldanzoso, un tempo le pernici erano numerose e mio padre, senza licenza ne cacciava ogni giorno qualcuna che finiva in tavola. Ora non se ne vedono più tante, tant’è che io ho rinunciato ed ho venduto il suo fucile da caccia a compare Giosia che tutti i giorni va sparacchiando per la valle.

Stavo dicendo, riprese Maurizio che noi siamo sulle propaggini del sapere, operiamo su quelle che possiamo considerare le ultime briciole della lauta offerta del sapere. Vi sono due modi di vedere la cosa: in modo ascendente, partendo da zero verso una crescita, o discendente, partendo da un certo livello, verso lo zero; si può andare incontro alla propaggine del sapere, o ci si può allontanare.

Abbiamo scelto il piccolo non per umiltà, ma come aspirazione, ci piace provare il piacere di avvicinarci al centro dell’ignoranza pura, lasciando anche le ultime propaggine, le briciole del sapere ed entrare nella terra di nessuno. Senza nessun ausilio, nessuna salvaguardia. Hic sunt leones, era scritto sulle mappe di paesi sconosciuti.

Una volta, tornando a casa, seguitò imperterrito Pancrazio, raccontai quello che mi aveva detto la maestra allo zio Sempronio, egli mi spiegò che la propaggine è un tipo di coltivazione che si fa, piegando ed interrando il ramo di una pianta, in modo da farla propagare nel terreno. Al che non ci capii più niente: io non avevo mai interrato neanche una pagina del mio libro, anzi! Se avessi potuto lo avrei seppellito tutto.

Maurizio rimase spiazzato da tanta scienza, dandone atto al suo promotore Pancrazio ed ammise onestamente di non sapere nulla di quella pratica. Seguitò comunque, anche se con minore slancio:

Il riflessivo propagarsi rende il senso della differenza, si propaga cioè si diffonde un morbo, una moda una fede, mentre la propaggine è l’effetto di questo diffondersi.

Anche la propaganda deriva da propagare, ed è quell’attività che mira a diffondere, un’idea, una teoria, una fede, nel qual caso prende il nome di proselitismo.

Ma vedo che voi tutti siete sulle propaggini del sonno e quindi mi taccio.

Pancrazio era tutto ringalluzzito per aver meritato una citazione da parte del suo adorato maestro e si pavoneggiava non rientrando nei suoi panni.

Ricordo ancora, volle aggiungere, trascinato dall’entusiasmo, che una volta finita la quinta, il libro l’ho buttato nei contrafforti della propaggine.

????

Ma sì, rispose alla domanda muta mossagli da più parti, erano in tanti a volerlo, ma io alla fine l’ho fatto scivolare in un canalone della montagna, quella proprio della propaggine e si guardò intorno alteramente, mentre si alzava, dominando dall’alto della sua postura, la platea bassa degli astanti seduti, in attesa di un cenno di approvazione.

Ma rimase deluso (stronzi, pensò, sono tutti invidiosi).

 

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