STILLICIDIO

 


                                                                            

Può una goccia uccidere? Chiese enfaticamente Maurizio ai soci del Circolo al momento presenti, come al solito, pochi ma buoni, Pancrazio, Sebastiano, Silvana, Oreste ed un paio di curiosi che, sorbito il caffè e in procinto di uscire, si soffermarono un attimo per sentire la risposta all’insolita domanda.

Nella mia casa di Colleminuccio, rispose Pancrazio, c’era una goccia di acqua che cadeva dal tetto e non sapevamo come farla cessare: naturalmente ci dava molto fastidio perché dovevamo mettere un baccile accanto al letto tutte le volte che pioveva, ma non ha mai ucciso nessuno.

Vi ho fatto questa domanda, riprese paziente Maurizio, per parlarvi di una particolarità che a me sembra interessante. Presa in sé e per sé, la parola “stillicidio” è del tutto innocua, descrivendo, come nel caso della “povera fontana malata” di Aldo Palazzeschi (clof, clop, cloffete), l’effetto prodotto dalla caduta ritmica e incessante di una goccia d’acqua su una superficie liscia, che può dare fastidio, togliere addirittura il sonno, ma tutto finisce lì.

Ha creato qualche problema in ambito giudiziario, ad esempio con la istituzione di una servitù di stillicidio, per regolare i rapporti fra confinanti, quando le acque di sgocciolamento dal tetto di uno, finiscono sul terreno di proprietà dell’altro ed  è usata in medicina, quando si deve misurare il tempo di sgocciolamento del sangue da una ferita, o da una puntura, prima che coaguli.

Ma è in campo metaforico che il termine ha avuto la sua massima espansione, arrivando a comprendere tutte le azioni ripetute che finiscono col produrre un effetto di danno o diminuzione ( per esempio, lo stillicidio di continui pagamenti intacca la consistenza del patrimonio).

“Stilla” è la goccia, mentre  il suffisso “cidio” ci crea qualche imbarazzo per la forte assonanza con molte altre parole che terminano con lo stesso suffisso, come ad esempio omicidio, femminicidio, genocidio, deicidio, eccidio, aventi come oggetto vari ammazzamenti, mentre invece nel caso della parola “stillicidio”, non si tratta di ammazzamenti, ma di una goccia che cade.

Ciò avviene perché nelle parole del primo tipo quel suffisso viene dal verbo latino “coedo-coedere” che vuol dire appunto “uccidere”, mentre nel caso nostro, il suffisso “cidio”, viene dal un altro vero latino che  è “ cado-càdere” con il significato di cadere.

Ma la particolarità non finisce qui, perché, l’assonanza con quelle parole che parlano di morte, fa sì che al nostro orecchio la parola stillicidio, pur sapendo che essa ha una origine diversa, suoni come qualcosa che con la morte, o con una rovina, ha comunque a che fare.

E stranamente accade, che di ciò si trovi conferma in situazioni che ci fanno pensare che la sensazione non sia poi così lontana dalla realtà, il che avviene osservando come, a partire dal classico “gutta cavat lapidem”, la goccia che buca la pietra, si possa arrivare fino alla riscoperta di una credenza letteraria che attribuisce ai cinesi il poco onorevole merito di aver inventato un tipo di tortura consistente nel far cadere a tempo indefinito una goccia di acqua sulla fronte della vittima, che porta alla lunga il disgraziato che vi viene sottoposto, alla pazzia e alla morte.

Allora ho fatto molto bene, intervenne Pancrazio con gli occhi umidi dall’emozione, a far riparare il buco del tetto a Colleminuccio, per far cessare quella tortura della goccia di pioggia che ci stava bucando l’anima.

Ecco la prima vittima dello stillicidio, ironizzò Sebastiano al di sopra di tutti (dalla pedana del bancone).

I due curiosi erano però già andati via.

 

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