PERMANENZA

 

 


                                                                         

Il dolore per la perdita di una persona cara è incolmabile, niente mai potrà cancellarlo,

Ma certo tende ad affievolirsi col passar del tempo, brucia lentamente, fino a rimanere come la brace sotto la cenere, arde ma non si vede e non scotta più.

Il dolore, come commozione, come sensazione fisica, si è consumato tutto con le lacrime e lo strazio, lasciando un grumo cristallizzato sul fondo dell’anima, ineliminabile ma non più insopportabile, anzi si lascia trasportare dovunque tu vada e qualunque cosa faccia, sempre con te; ti ha modificato: non sei più quello di prima. È il tuo compagno ed il tuo rifugio.

Non servono più palliativi. Il dolore è addolcito, trasformato in una nota di melanconia che vola sopra le cose.

Su quello che avviene dopo la morte si sono versati fiumi d’inchiostro che sono serviti finora a fare solo esercizi di calligrafia.

C’è chi non si rassegna all’idea che tutto debba scomparire nel nulla, che la nostra intelligenza debba perdersi, la nostra persona, la nostra individualità, debbano cessare di esistere e parla di sopravvivenza, anzi di nascita ad una nuova vita, quella vera, che sarebbe eterna.

La verità è che non sappiamo nulla di quello che avviene dopo il decesso, possiamo solo parlare di quello che avviene in chi resta, in attesa del proprio turno di morire.

Qui si entra nel campo dei sentimenti più profondi che attengono al cuore ed all’anima di ognuno di noi. È il tema della perdita.

Ma è anche il tema della permanenza.   

Molti, nel tentativo di arrecare sollievo al dolore di chi ha subito una perdita grave, si affannano a trovare espressioni che creino l’illusione che lo scomparso sia ancora presente. Sebbene in una nuova dimensione.

È quello che fa dire ad Eduardo, che si immagina morto, tu non mi vedi, ma io sto qua, nella stanza accanto.

Si dice: L’uomo non muore fino a quando il suo ricordo vive in chi resta. Oppure: C’è qualcosa di più forte della morte ed è la presenza degli assenti nella memoria dei vivi, queste belle parole, concorrono ad alimentare in chi è colpito da una perdita, la pietosa illusione della permanenza, che non è ancora sopravvivenza dello scomparso, ma va in quella direzione.

Di quale sopravvivenza parliamo?

A parer mio esiste per i credenti una sopravvivenza celeste, che è quella che non ha termine e viene attribuita a chi muore, ed una terrestre che riguarda invece la capacità mnemonica di chi resta e conserva la memoria dello scomparso. A sopravvivere in questo caso non è la persona, ma il suo ricordo. Ed è una sopravvivenza a termine, finisce come finiscono tutte le cose di questo mondo.

La sopravvivenza celeste presuppone l’eternità, che sarebbe la nuova dimensione. Eterno vuol dire che non muore mai, la parola deriva dal latino “aevus”, evo, più “ternus”, che propriamente significa triplice, ma moltiplicare il tempo per tre, numero perfetto, equivale a dire moltiplicarlo all’infinito.

Sinonimi di eterno, con differenze anche notevoli, sono perpetuo e perenne e perfino permanente.

Mentre l’eternità è fissa, non ha inizio né fine, l’essere perpetuo, vuol dire “che non termina mai”, mentre in base all’etimologia dal latino “per” che indica continuità, più “petuus”, derivato di “petere”, che vuol dire dirigersi, indicherebbe “che procede in modo continuo”.

Perenne, che significa anch’esso “che non finisce mai”, in base alla sua origine, dal latino “per” nel senso di “attraverso” e “annus”, anno, significherebbe “che dura tutto l’anno”, e sarebbe quindi cosa ben diversa dall’eternità.

E arriviamo a permanente, il cui significato è “che permane nel tempo”, senza indicazione di un inizio e di una fine, ma sappiamo che questo tempo non è infinito, conosce diversi motivi di cessazione. Uno di questi, è appunto la morte di colui che ricorda.    

Altre cause di cessazione dipendono dal fatto che il pensiero ed il ricordo sono facoltà della mente umana che tendono ad affievolirsi col tempo ed ecco allora che potremmo parlare di una permanenza che tende ad esaurirsi lentamente, a sbiadire, come una dissolvenza cinematografica. Si spegne del tutto solo quando si spegne la memoria di chi li ha albergati.

Un po’ come avviene con le stelle morte, la cui luce seguita a giungere fino a noi, anche dopo lo spegnimento della fonte, per il tempo equivalente alla distanza siderale, calcolata in anni luce che ci separa da esse. Cessa quando si spegne la luce[H1] , il che può avvenire anche molti anni dopo la morte  dell’astro.

 


 [H1]Ire

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