TEMPI FELICI

 

 

                                   


                           

Erano giorni felici, disse e guardava in basso fra le nuvole.

Anche quelli? Chiese di rimando l’altro.

Sì, anche quelli, non ricordi? Rispose lei, assorta nei suoi pensieri.

Ricordo le albe.

Tu ti alzavi che non era ancora giorno ed io venivo ad aiutarti a vestire.

Al buio, senza accendere la luce e in silenzio, come ad una cerimonia sacra.

Sacra non direi, era profana un bel po’.

Solo perché il primo pensiero era fare il caffè?

Il primo bacio veniva dopo aspirato l’aroma ed assaggiato la bevanda fumante: buon giorno e buon caffè, ripetevi sempre e la giornata si apriva magicamente davanti a noi.

Poi la routine dei lavaggi, le abluzioni, dicevi e la colazione, le medicine ed il miracolo di un nuovo giorno tutto per noi.

Al mattino, le prime ore sempre dorate, anche a novembre, con le foschie e le brume.

Che sono le brume, sai che non lo ricordo?

Lascia stare, il tempo è passato e noi siamo cambiati.

Io ricordo che nei mesi d’inverno, quando ogni giorno le ore di luce diminuivano, aspettavamo con ansia di accendere le prime luci per fugare il buio ed io vedevo il tuo sorriso triste.

Sì, ma dov’era, allora, a quel tempo, la felicità? non credo di essermene accorto.

La felicità è sempre dietro le spalle, mai che tu possa vederla davanti a te e prenderla, te ne accorgi solo dopo che è passata.

Ma ci bastava sentire le grida allegre dei bambini che uscivano di scuola, incontro ai loro genitori e si rincorrevano l’un l’altro, per riempire di gioia tutto il nostro tempo muto.

Altri momenti di inconsapevole letizia erano quelli in cui vedevamo passare alle ore prefissate, l’autobus del servizio urbano e la sera, l’invasione degli storni che si affollavano sulle chiome degli alberi.  

Guardavano entrambi in basso: in fondo alla valle scorreva il fiume e molti si affannavano intorno alle rive, da una parte e dall’altra.

Io stavo molto male e tu eri ridotta al lumicino, come dicono giù in terra.

Erano gli ultimi giorni e non lo sapevamo; eravamo felici perché non ci aspettavamo niente altro, felici di esserci e basta.

Pur nelle ambasce…

 Tu sei sempre il solito: certo avevamo tante limitazioni, molte cose non le potevamo più fare, ma eravamo fortunati, perché stavamo insieme e ci sorreggevamo a vicenda, non come molti oggi che laggiù muoiono soli e disperati.

Noi almeno siamo morti vivi. Concluse lui.

Lei lo guardò con occhi benevoli, condiscendenti, quasi amorevoli (era ammesso l’amore, lassù?), poi disse:

Siamo stati sempre insieme e ci siamo voluti bene, questo conta, ora siamo nell’eterno, che vogliamo di più?

  

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