STORNI
Arrivavano a frotte numerose, ordinate e compatte, eseguendo
volute fantastiche e disegnavano nel cielo figure astratte, che cambiavano continuamente,
con un effetto visivo che destavano ammirazione e meraviglia.
Riempivano l’intero spazio celeste già declinante verso
sera, poi subito dopo il tramonto, si affollavano nelle chiome degli alberi,
con un rumore che era di grida, un frullar di ali e un pigolio intensissimo,
per tacere di colpo, non appena
scomparso l’ultimo raggio di sole.
Bastava battere le mani sotto un albero e una nuvola di uccelli
spaventati, saltava fuori in gran numero, per tornare in breve a sistemarsi tra
rami e foglie e la calma tornava nel
gruppo, di nuovo invisibile.
Ora non più; giungono sempre verso il far della sera, le
avanguardie, prima, alla spicciolata, di solito, però, a coppie, poi il gruppo,
massiccio e indistinto; attraversano l’arco di cielo che mi è dato vedere, in
tutta fretta, dritti, compatti, con uno stridio sommesso, puntando dritto verso
la stessa meta, a me sconosciuta.
A volte li vedo anche al mattino, andar via schizzando dal
folto delle piante e attraversare l’aria come proiettili, uno, due, tre o
quattro alla volta, in una processione interminabile, in direzione opposta a
quella dalla quale sono arrivati la sera.
Di solito il percorso serale va da ovest verso est, quello
del mattino da est ad ovest, come se volessero anticipare il buio all’arrivo ed
inseguire la notte, alla partenza.
Sembrerebbero uccelli notturni, ma non lo sono; hanno invece
abitudini diurne, affollando i campi coltivati con gran danno per i
coltivatori, anche se io non li ho mai visti.
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