IL NARCISISTA

 

 


                                                                

Narciso era un giovane bellissimo, il prototipo della bellezza, non importa se maschile o femminile, era un simbolo e come tale si immolò.

La prima volta che si vide, rispecchiandosi in un laghetto, fu così ammaliato dalla sua figura, che si innamorò di se stesso e, nel tentativo di raggiungersi, per abbracciarsi, cadde in acqua ed affogò.

Era estremamente bello, ma non sapeva nuotare, era cioè ingenuo, nel senso di senza colpa, conservava l’innocenza ed il candore dei nativi o dei bambini.

La favola di Narciso, per mettere in evidenza, una delle caratteristiche peculiari del genere umano, la vanità e la vanagloria, che sono nel patrimonio genetico di ognuno di noi, sono doti o difetti preziosi se posseduti in piccole dosi, perché “bisogna” volersi bene, anche per amare gli altri e possono però, se spinti alle estreme conseguenze, portarci alla rovina.

In questo senso siamo tutti dei Narciso, chi più chi meno e ci piace pavoneggiarci nella illusione di essere sempre i primi, unici ed impareggiabili, con il desiderio di essere così percepiti ed accolti dagli altri ma rischiamo di “affogare” nell’indifferenza, se non nella riprovazione altrui, se eccediamo i nostri limiti.

A questo  proposito noto che nel motto greco antico “gnothi se auton” scolpito sulla facciata del Tempio di Apollo, a Delfi, che si vuole dettato dallo stesso Apollo, tradotto nel latino “nosce te ipsum” e nel nostro “conosci te stesso”, c’è un invito ad esplorare la propria interiorità, conoscere la propria anima, al fine di migliorarsi, come ha interpretato giustamente Agostino, per essere anche di aiuto agli altri, ma , c’è soprattutto un monito, a riconoscere la nostra finitezza di uomini, i nostri limiti. Non per niente esso ha origine in ambito religioso, come dire che non siamo come dei, infiniti ed eterni, ma limitati e mortali, per cui dobbiamo, nel nostro modo di essere e di agire ricordarci di non trascendere i nostri limiti. Non possiamo, cioè, con il nostro ragionamento risolvere ogni questione, specie se non si hanno solide basi di conoscenza.

Ho indugiato a rispondere alle tue varie “provocazioni” di questi ultimi giorni, per tema di valicare quel varco e di essere frainteso.

Ti ho accusato di essere caduto nella trappola del narcisismo. Voglio qui affermare, non per civetteria ma per onestà intellettuale, che il primo narcisista sono io, in questa come in altre occasioni, il vero narcisista sono stato io.

Detto questo, nel mio desiderio di migliorarmi, abbandono la vetrina vacua dei social e prediligo lo scambio individuale di opinioni ed informazioni e tu sei un ottimo interlocutore.

La tua sete di cultura è bella e genuina, anche se con essa, confermi il detto che dice: l’esperienza è il pettine che arriva quando sei calvo. Ora che è tardi, cerchiamo, tu ed io, di colmare le lacune di un passato “scapigliato” (senza pettine?).

Guendalina è una brava prof, anche a lei piace pavoneggiarsi con le parole, ma il suo amore per la letteratura è autentico, il suo impegno lodevole, le cose che dice non sono originalissime, sia quando scopre il “gattopardismo”, già ampiamente noto, che nella dissertazione sulle particolarità della lingua dantesca, ma non si può certo dire che “scopra l’acqua calda”; è forse solo un po' troppo “scolastica”, ma di buon livello. È quindi giustificato il tuo interesse per lei.

Se siamo o no in epoca di decadenza non sono in grado di affermarlo: mi mancano gli elementi per farlo: parlare di “progressivo decadimento della cultura e civiltà”, in senso generale, con la notazione identitaria di “occidentale”, sembra eccessivo. Richiama l’affievolimento del potere politico del c.d. “mondo occidentale”, un tempo egemonico nei confronti del resto del mondo ed oggi sempre meno. Ricordo comunque che non vi è epoca della storia in cui non sia stato lanciato l’allarme sull’imbarbarimento dei costumi correnti, da parte dei contemporanei, forse perché non si è mai soddisfatti del tempo presente e perché vale anche qui il motto: “nemo profeta in patria”, intendendo per patria l’epoca deprecata. Ma la storia si giudica “a posteriori”.

Teniamoci in contatto, parlare con te mi è proficuo, anche se spesso dissento da quello che dici. Ma la dialettica è proprio questo.

 

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