TRISTEZZA
Caro Lucio tu parli di tristezza e dici che ci sarebbe
compagna, quanto più siamo vecchi, poi, subito dopo, aggiungi che non è cattiva
perché ci fa ricordare i momenti felici della nostra vita.
Io ho parlato di nostalgia come dolore del ricordo dei momenti
felici che sono lontani e sappiamo che non torneranno.
Diciamo la stessa cosa da due punti diversi; quella che tu
chiami tristezza altro non è che nostalgia, mentre quella che io chiamo nostalgia
è tristezza.
Ma tant’è, spostando l’ordine dei fattori il prodotto non
cambia: che sia un’emozione a suscitare tristezza, o il contrario, il risultato
è sempre un dolore, una sofferenza che per fortuna non è endemica, cioè
ineliminabile e tanto meno ci è “amica”.
Il genere “Homo” ha sviluppato nei secoli una tecnica di
“elaborazione” del dolore ed in particolare del dolore conseguente ad un lutto
per la perdita di una persona cara.
È una tecnica che si sviluppa per gradi, poco alla volta e tende
a far superare almeno le fasi più intense del dolore, ché altrimenti sarebbe
impossibile continuare a vivere.
Ed è affidata al tempo: il tempo smussa gli angoli più acuti,
allevia l’animo e lo porta poco alla volta non ad accettare l’accaduto, ma quanto
meno a renderlo sopportabile come una sorta di melanconia in cui il ricordo
della persona cara suscita pensieri di affetto, senza più il dolore cocente,
che è alle spalle, superato, vinto, mentre resta il piacere della presenza
evocabile con la memoria.
È un processo lungo e faticoso, non sempre percorribile fino
in fondo, a seconda della diversa sensibilità di ciascuno.
Forse era questa la “tristezza” alla quale alludevi? Una tristezza
amica che molce non strugge?
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