SILLABARIO

 

                                                                      

Pancrazio aveva notato che Maurizio, in quei giorni arrivava sempre portando con sé, sottobraccio, un libro.

Siccome egli era naturalmente curioso, approfittando di un momento in cui il maestro si era assentato, dopo una telefonata di Chiara, lasciando il libro sul tavolo del circolo, si era avvicinato “di soppiatto”, (da poco aveva sentito questa curiosa espressione che gli era piaciuta), al tavolo ed aveva preso in mano il libro, spiando di non essere visto da nessuno, non voleva che gli altri trovassero motivo di sfotterlo per questo.

La prima impressione era stata singolare, il titolo del libro richiamava temi cari al circolo, era un sillabario, buono per testoni come loro; più precisamente, notò poi, il volume portava il titolo di “Sillabario n.2”, di un certo Goffredo Parise, probabilmente un maestro, collega di Maurizio.

Sillabario si chiamava anche il suo libro delle Elementari, che però era senza numero. Prese il vocabolario e cercò la parola “sillabario”, perché gli piaceva andare a fondo nelle questioni di cultura.

E lesse: “libro scolastico per l’apprendimento della lettura con il metodo sillabico”; ecco spiegato il mistero; allora il sillabario n.2 doveva servire per l’apprendimento della lettura, ma con un metodo diverso da quello sillabico. Vediamo quindi di capire quale sarebbe questo nuovo metodo, si disse e riprese in mano il libro misterioso.

All’apparenza era una raccolta di storielle di personaggi tutti diversi tra loro, ripresi nell’atto di vivere un momento della loro giornata o della loro vita, senza che succedesse nulla di particolare. Questi racconti portavano nomi posti in ordine alfabetico, secondo la lettera iniziale del titolo, a cominciare da “f”, (il primo racconto si intitolava “Felicità”), fino alla “s”, (gli ultimi due infatti si intitolavano “Sogno” e “Solitudine”).

Anziché chiarirsi, il mistero si faceva sempre più fitto. Pancrazio ebbe un brivido e posò il libro sul tavolo con una certa cautela, quasi timoroso che da esso potesse venirgli qualcosa di increscioso.     

Se doveva servire per l’apprendimento della lettura, il libro era monco, mancavano all’inizio le lettere dalla “A” alla “E” e, alla fine,  dalla “T” alla “Zeta”. E poi non era buono per i soci del Circolo, in quanto essi, almeno per quanto ne sapeva lui, sapevano già leggere.

Perché, allora, Maurizio se lo teneva così a caro?

E poi, essendo ordinato per lettere e non per sillabe, non sarebbe stato più giusto chiamarlo “Abecedario”, come era appunto il nome del Circolo, invece di Sillabario, con o senza numero?

Ma ciò che gli faceva più senso erano i titoli che aveva appena letto: si passava dalla felicità, al sogno, per finire con la solitudine. Era forse una metafora? (Maurizio parlava sempre di metafora), o un pronostico? (anche questa parola era stata materia di discussione col maestro).

Ma se il titolo del libro fosse solo un pretesto? si chiese ad un tratto, mentre invece voleva dire in realtà ben altro che non insegnare a leggere?  ad esempio capire, mediante la lettura, quello che ci circonda e quello che siamo?

La vita, ecco il suo pensiero, altro non era che una felicità destinata a rimanere sogno, oppure l’essenza di tutto era che siamo sempre soli, dalla nascita alla morte, e a nulla vale leggere le belle storie, che pure sono il sale della terra?

Ma no, non poteva essere così, forse era vero tutto il contrario di quello che aveva pensato in un primo tempo: il libro voleva insegnare ad aprire gli occhi sulla realtà che ci circonda, per trarne la nostra felicità, anche momentanea, o provvisoria, in modo da darci la forza di sognare anche mondi più belli, per non rimanere mai soli e sconsolati.

Si concesse un attimo di riflessione: Noi siamo vittime di un teorema (questa era una parola appresa dai giornali, ma qui, tra teoria, tesi e teorema, doveva chiedere aiuto e interpellare Maurizio), che ci vuole legati ad un destino triste, mentre invece la lezione vera era di apprendere la gioia di vivere giorno per giorno la nostra vita, così come viene, con il suo carico di cose belle e cose brutte.

La vita è conoscenza, concluse dentro di sé Pancrazio, seriamente preso, e la conoscenza comincia con il sillabario. Questo è quello che cercava Maurizio da più giorni, senza trovarlo, quando tornava glielo avrebbe detto lui.

Posò il libro sul tavolo ed uscì, non visto da nessuno, dalla sala delle riunioni, la sua mente era altrove: talvolta è possibile trovare qualcosa che luccica, anche in un letamaio, pensò (e questa non gliela aveva detta nessuno, ne era certo).

 

N.d. C.: Goffredo Parise, Sillabario n.2, Mondadori Editore nella collana dei Libri della Medusa, anno 1982, vincitore del Premio Strega nello stesso anno.

Il precedente Sillabario n.1 era stato pubblicato dall’Editore Einaudi, nel 1972.




 

Pancrazio, venuto a sapere che l’autore non aveva completato la sua opera, arrestandosi alla lettera “S” dell’alfabeto, per mancanza di ispirazione, commosso, si mise a pensare a come porre rimedio a questa grave deficienza, suggerendo a lui, ancorché defunto da tempo, o a qualche suo epigono, alcuni titoli che non sfigurerebbero nell’elenco dei due volumi già pubblicati:

Tira e Molla, Tuono, Turbine;

Ululato, Ultimo e Umiliato;

Vizio, vena e vino;

Zenzero, Zibaldino e zuzzurellone.

Chi si candida a scrivere i racconti? Lui, Pancrazio, potrebbe metter mano al primo. Che ne dite? 

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