IL DOLORE DI PANCRAZIO
Pancrazio in questi giorni si è ammutolito, piange per le
morte di un uomo, un suo amico, un viandante che aveva con sé un figlio.
Avevano fatto insieme un tratto di strada, lungo il cammino di
Santiago di Conpastella, diceva lui, ma non aveva importanza; importava,
invece, che aveva conosciuto il segreto dei miseri orefici, (“misteri orfici”
aveva detto Maurizio, ma lui intendeva sempre a modo suo), i lunghi silenzi dei
passi a sei gambe, le ‘traversine’, le fatiche, le improvvise illuminazioni.
Come compagno di viaggio, il più discreto, delicato e
sapiente, senza supponenza. Non lo metteva a disagio, anzi, lo favoriva nello
star comodi, anche zitti, ognuno con le proprie idee.
Le idee che egli aveva, e tante, che manifestava senza sosta
e senza veli. Autentiche rivelazioni.
E le mani, l’abilità delle sue mani, così sulle corde della
sua chitarra, dalle quali traeva suoni meravigliosi, sia su qualunque attrezzo
o strumento atto a produrre effetti.
E ogni piccola difficoltà risolta ‘mercé’, come piaceva dire
a Maurizio, dal quale Pancrazio l’aveva appreso, la sua capacità di appianare
le montagne.
Dove mai potrà trovare un compagno come lui, così generoso, pronto
a stenderti la sua borraccia se avevi sete, o a porgerti la sua spalla se eri
stanco, così disponibile, così capace che aveva una soluzione per ogni problema?
Portava sempre con sé un libro, che apriva nei momenti di
quiete, dopo aver sistemato lo zaino del figlio e riparato gli scarponi di
entrambi e curato le ferite dei piedi di ognuno di loro.
Aveva imparato più cose nei quindici giorni trascorsi in sua
compagnia, che in tutta la vita con Maurizio, tanto basti a descriverlo e
Maurizio non è che fosse uno qualunque, ma non era mai stato a Santiago.
Mi mancheranno, pensava Pancrazio, con gli occhi umidi di
pianto, il suo sguardo ironico, il suo pensiero lucido e profondo, la sua bontà
e il suo amore per la pace e la giustizia.
Forse non ho fatto abbastanza per lui, si rammaricava.
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