CERIMONIA - DOCUMENTO PREPARATORIO

 

Documento preparatorio

 

 

 

GIUSEPPE SIMONE AIELLI

 

 

 

 

TERAMO, 25 LUGLIO 1966

 

 

BOLOGNA, 14 GENNAIO 2024

 

 

 

 

Pantheon della Certosa di Bologna


 

Celebrante

Siamo qui oggi per accomiatarci da Giuseppe Simone.

Questo momento vuole essere, oltre che un saluto, un ringraziamento a Giuseppe Simone ed una celebrazione della sua vita.

Il dolore è certamente una reazione umana naturale in questi momenti.

Ora, qui, c’è però lo spazio per portare l’attenzione non al dolore per ciò che è stato perso, ma alla gratitudine per ciò che c’è stato.

Celebriamo ciò che Giuseppe Simone ha donato, scambiato, lasciato in ogni persona che ha incrociato la propria vita con la sua.

Riflettiamo su come si sia arricchita o trasformata la vita grazie al fatto di avere incontrato Giuseppe Simone.

Custodiamo la sua presenza non tanto nella memoria della mente, ma nella consapevolezza del cuore.

 

Pensando alla propria morte, ha voluto lasciare alcune disposizioni relative a questa cerimonia di commiato, tra cui la scelta della musica che ascolteremo alla fine, ed una frase che è il suo saluto per tutti:

“Ho vissuto benissimo perché ho sempre fatto quello che volevo, per cui non vi preoccupate per me.”


 

 

Ora il caro amico Guido inizierà con un’ouverture alla chitarra.

Roland Dyens, “Valse en Skai”.

 

 

Celebrante:

 

“Di origini abruzzesi, è il maggiore di 4 fratelli, figlio di Bruno e Fiorella, tuttora residenti in Abruzzo, che oggi sono presenti con il cuore ma impossibilitati, per via dell’età, ad essere presenti e ad unirsi alla famiglia e agli amici, ai quali ci stringiamo.

In giovane età, per studiare ingegneria, si trasferisce a Bologna, che diventa la sua città di adozione.

Le sue attività e passioni spaziano inizialmente tra informatica e musica. Apre la scuola di musica Glenn Gould insegnando chitarra, organizzando concerti e immergendosi nella scena musicale bolognese.

Inizia la sua carriera come libero professionista nel campo dell'informatica. Poi l’incontro importante con Tanya, con la quale si sposa nel 2001.

La coppia si trasferisce a Montecatone, vicino ad Imola, in un idilliaco casolare circondato dalla natura.

Giuseppe Simone e Tanya trascorrono anni pieni di vita, circondati da amici e dalla famiglia, organizzando feste e condividendo la passione per la buona cucina: preparava il crème caramel più buono di Bologna.

Nel 2004 nasce il loro amatissimo figlio Leonardo, per il quale Giuseppe Simone nutre fin da subito una grandissima passione e coltiva un rapporto molto profondo.

La separazione con Tanya, con cui rimane in ottimi rapporti fin da subito, è l'occasione per ridefinire un rapporto speciale a due con Leonardo, dove i momenti passati insieme acquistano uno speciale significato e sono reinventati con ironia e fantasia, anche nella quotidianità.

Questo forte sodalizio segue Leonardo negli anni della crescita e si trasforma negli insegnamenti preziosi che gli ha lasciato.

Nel 2013, la malattia entra nella vita di Giuseppe Simone, portandolo verso una dimensione spirituale.

Alla ricerca di un senso più profondo della vita decide di percorrere da solo la Via Degli Dei affrontando simbolicamente l'ignoto.

Come scritto da lui:

“Una domenica mattina, né presto, né tardi, sono uscito di casa con lo zaino sulle spalle e mi sono messo a camminare”.

Presto coinvolge anche Leonardo in queste esperienze, camminando insieme in vari percorsi, inclusi Santiago di Compostela quando Leonardo ha 12 anni, il cammino dei Briganti in Abruzzo, l’alta via dei Parchi negli appennini emiliani e il Gran Sasso.

Le sue passioni si trasformano e si intrecciano al cammino spirituale, così Giuseppe Simone esprime sé stesso attraverso la legatoria, la fotografia, realizzando anche libri fotografici con la collaborazione del padre Bruno. Insieme, scrivono "L'Isola dei Fantasmi", una narrazione di fantasia ispirata dalle emozioni suscitate dalle fotografie di un paesaggio aspro, solitario e selvaggio.

Poi la liuteria, imparando a costruire strumenti musicali e realizzando una chitarra acustica e un basso per suo figlio, a cui ha trasmesso la passione per la musica.

Esprime una varietà di talenti artistici, una creatività e impulsività ereditata dalla madre Fiorella, con la quale condivide una forte affinità spirituale.

Anche quando la malattia si intensifica negli ultimi due anni, Giuseppe Simone affronta la situazione con forza e dignità, mantenendo la lucidità e la speranza.

Rimane fiducioso persino durante gli ultimi e più difficili momenti, non arrendendosi mai.

La sua ricerca fotografica esplora il “bosco che fa paura”, probabile rappresentazione delle incertezze dell’esistenza.

Giuseppe Simone è stato un uomo di grande intelligenza, senso critico con un carattere forte, che ha sempre difeso con determinazione le sue idee, a qualsiasi costo.”


 

 

Diamo ora la parola al figlio Leonardo.

 

Quello che si suol chiamare morte, non può troncare l’opera mia, perché la mia opera deve essere compiuta, e non può essere compiuta in nessun momento del tempo, perciò alla mia esistenza non è fissato nessun termine nel tempo ed io sono eterno.

Col fatto stesso di assumere quel compito sommo, io ho conquistato per me l’eternità.

Io sollevo fieramente il mio capo verso le rocce minacciose, verso le cascate furibonde, verso le nubi che si schiantano ondeggiando in un oceano di fuoco e dico: io sono eterno e sfido il vostro potere!

Precipitate tutti su di me, e tu cielo, tu terra, mescolatevi in un selvaggio tumulto, e voi tutti elementi, spumeggiate e infuriate, stritolate nella lotta selvaggia sin l’ultimo atomo di quel corpo che io dico mio: la mia volontà sola, col suo sacro proposito, continuerà a librarsi con impavida audacia sulle rovine dell’universo, poiché io ho assunto la mia missione e questa è più duratura di voi, essa è eterna ed io sono eterno con essa.”

 

Ascoltiamo ora la gratitudine di Tanya.

Intervento di Tanya.

 

Lasciamo la parola a Valentina, sorella di Giuseppe Simone.

Intervento di Valentina.

 

Ascoltiamo ora un intervento musicale a cura di Ruggero.

Musica brasiliana.

 

Leggerò un ricordo che l’amica Paola ha scritto per Giuseppe Simone.

 

Caro Giuseppe, molto resta indelebile, fra i ricordi più belli, la fotografia.

La ricerca del silenzio contro il rumore, della lentezza contro la velocità, della rarefazione contro l’accumulo, del mistero contro la banalità, dello stupore contro l’indifferenza.

La fotografia per riconnettersi col proprio mondo interiore stimolando l’immaginazione e la narrazione.

Gli indizi e le tracce che focalizzano l’attenzione e diventano esche per sollecitare un racconto di storie.

La fotografia come voce di poesia e testimonianza di scempio umano, questo il tuo regalo per sempre!”

 

Lasciamo ora un breve spazio a chi di voi desidera condividere un ricordo, un saluto, un aneddoto per ricordare Giuseppe Simone.

Interventi non programmati.

 

Brano d Giuliano alla fisarmonica.

 

Ascoltiamo l’intervento finale di Leonardo, “Un sogno”.

 

“Lucia è in una grande stanza mentre sta lavorando alle fondamenta di un nuovo progetto per la facoltà di architettura.

La lascio lavorare e giro l’angolo, poi cammino in un lungo corridoio che porta in una grande stanza che pare quella di un rifugio.

Papà sta facendo lo zaino, il suo zaino da trekking.

Nella stanza ci sono diversi letti e papà è con tante altre persone.

Tutti sanno che domani ad una certa ora del giorno, o forse della sera, morirà. Lui stesso lo sa.

“Aspetta” gli dico, “ho ancora delle domande da farti”.

“Certamente tesoro, ma se devo piangere fammi finire con queste persone prima, in seguito avremo tutto il tempo per noi due.”

Papà intrattiene il resto delle persone finché non è il mio turno.

Ci sediamo in un’altra stanza, al tavolo, su una panca di legno.

Valentina è seduta accanto a noi.

Lui mi dice “sono un po’ stanco adesso, sicuro di non volermi chiedere una sola domanda adesso e il resto domani?”

“No papy meglio tutte adesso che domani… non si sa”.

“Mmh va bene… beh dai dimmi”.

Io vorrei fargliene così tante, tutte quelle che non gli ho mai fatto e tutte le altre.

Vorrei semplicemente avere più tempo o, ancora di più, non dover affrontare proprio nessuna di queste discussioni.

“Beh la prima domanda è se lo sapevi o se te lo sentivi”.

“Ma dai tesoro, figurati se lo sapevo… Nessuno sa queste cose… chiaramente ci pensavo e ci dovevo fare i conti, ma non c’è niente che sapevo e soprattutto non c’è niente che ti tenevo nascosto, quindi tu ne sapevi quanto me… E la seconda?”

Papà mi sorride.

Compare il nonno, in sedia a rotelle.

Ci guarda ma non sembra poter vedere papà, che nella sua mente è già morto. “Che disgrazia” dice, sta piangendo ed è tutto rosso mentre beve un bicchiere di vino.

Si lamenta di come non lo lascino lamentarsi in pace.

“I lutti non sono più quelli di una volta” dice in modo sarcastico sogghignando tra le lacrime.

Guardandolo, non posso fare a meno di provare una grande pena.

Sono davvero convinto che il nonno Bruno e la nonna Fiorella siano i più sfortunati in questa situazione.

Eppure l’atmosfera è surreale e la battuta mi prende molto alla sprovvista. Io e papà sorridiamo.

“La seconda domanda è: come ti senti? Hai paura?”

“La paura è la peggiore sensazione che ci possiamo regalare.”

Nel mondo del sogno la frase è intestata a Seneca, ma non posso confermare che l’abbia detta o meno anche nel nostro.

Papà continua:

“tesoro mio, ovviamente mi dispiace dovervi lasciare, e più di tutti mi dispiace dover lasciare te.

Pensa come sarebbe bello se domani mattina potessi finalmente risvegliarmi senza il determinante… tutto sarebbe di nuovo così semplice.”

Papà ride e incrocia le dita “e chiaramente intendo risvegliarmi domani nel senso buono eh.”

Non si sa dove si sveglierà papà domani, se in questo mondo o nel prossimo.

La nostra discussione finisce qui, ho capito che papà è sereno.

Ancora di più, ho capito che papà è pronto.

Mi guardo intorno, dalla finestra si vedono le stelle.

Guardo meglio dove siamo: siamo seduti nello stanzone di Monte Cavallo, il nostro luogo del cuore.

Ripercorro la nostra discussione: non ho idea di come papà potesse sapere del “determinante” ovvero una particolare funzione, importante nell’ambito dell’algebra lineare.

Ripenso al lungo corridoio che ho percorso per raggiungerlo, è proprio del tutto simile a quello del dipartimento di fisica.

Ripenso a Lucia, il progetto a cui sta lavorando sono le fondamenta della nostra nuova casa.

Ora sono sveglio.

Grazie papà, e scusami se non c’è stato tempo di avere questa discussione per davvero.

Se vuoi parlare, puoi venirmi a trovare mentre dormo ora, a me va bene anche così.

Ripenso a tutte le volte che lo avevo sognato prima di domenica: era sempre malato.

Mi ricordo che una notte mi aveva chiesto di dormire affianco a lui perché era molto debole e nel sogno ci eravamo abbracciati e avevamo pianto insieme.

Sabato notte invece, la notte prima che se ne andasse, lo avevo sognato che cercava di correre tra i portici di Bologna, o dovrei dire forse zoppicare, anche perché era in tenuta da ospedale e si doveva portare dietro le sue flebo con tantissimi fili e boccette.

In quell’occasione lo avevo guardato e mi ero emozionato tantissimo, fino alle lacrime.

Questa volta invece nessuno aveva pianto, e contrariamente a come me lo figuravo nei sogni ultimamente, lo avevo visto giovane, forte d’animo, illeso dalla malattia, sicuro di sé e soprattutto felice.

E così è come lo voglio ricordare.”

 

Accensione della candela

 

In piedi, minuto di silenzio.

 

Musica:

Arvo Part, “De profundis”.


 

 

 

 

 

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