IL DONO

 

 

                                                                        

il dono è gradito, quando, chi lo riceve è consapevole del fatto che chi lo fa, abbia il piacere di farlo. E di farlo graziosamente, senza corrispettivi. Allora il dono è prezioso: in esso è contenuto un messaggio che va oltre le parole. 

Ho ricevuto, contemporaneamente, due doni a me particolarmente graditi: due libri e due bottiglie di vino, che formano un fortunato connubio del piacere dello spirito con quello dei sensi, che, a volte, per vie misteriose, si fondono in maniera piacevole. Nella loro diversità, questi doni, hanno in comune più di un elemento: vanno nella stessa direzione, la riscoperta delle radici delle cose buone nel tempo e sono entrambi frutto dell’amore.

Amore riversato nei confronti del destinatario ed amore per il contenuto degli oggetti donati, che parlano  di antichi valori, come il sapere popolare, i sapori dei prodotti della nostra terra e, soprattutto l’amore per il nostro territorio.

I due libri, dal titolo accattivante “Storie di Streghe d’Abruzzo”, mi sono stati offerti dalla madre dell’autore, la quale, con molta ed apprezzabile modestia, nel porgermeli, nulla ha aggiunto sulla personalità del figlio, dandomi l’opportunità di scoprire, per suo tramite, un nuovo mondo che mi si è aperto, con essi, quando ho cominciato a leggerli.

Ho così appreso che Cristiano Catalini è un noto esperto di editoria, illustratore e fumettista, autore oltre che di questi due volumi, che sono, nelle intenzioni dell’autore, i primi di una collana dedicata al recupero delle vecchie leggende popolari abruzzesi, popolate da streghe, maghi e mazzimarilli, di molte altre opere, tra le quali “Il Grande Libro delle Risposte abruzzesi” e l’”Agenda Agricola Abruzzese”, raccolta di proverbi delle nostre parti, che sono nel complesso, un vero e proprio testamento di quella che possiamo chiamare l’abruzzesità.

Con mano leggera, il nostro narratore, si inoltra nelle vecchie storie udite narrare, che fanno parte di un retaggio antico delle nostre genti, trattate con felice disinvoltura e grande passione, alla ricerca delle origini di quelle leggende, che, tramandate di bocca in bocca, attraverso secoli e millenni, sono giunte fino ai nostri giorni.

Così capita che fatti avvenuti tremila anni fa, si congiungano con la vita di ogni giorno di tre ragazzi che in motoretta raggiungono i luoghi ove quei fatti presumibilmente sono avvenuti. Per iniziare una nuova storia.

È significativo che questo lavoro di scavo avvenga, anche e soprattutto, con la rivalutazione del dialetto, la lingua autentica, genuina, parlata dal popolo, per troppo tempo ghettizzata dalla cultura ufficiale come “volgare”, ignorando che il Volgare fu la prima lingua italiana formatasi dal disfacimento di quella latina, conservandone tutta la ricchezza.

Recupero e riproposizione orgogliosa, dunque, di questo mezzo di comunicazione, che si presta bene a coniugare le storie che ci vengono proposte, con semplice maestria, dal nostro mentore, il quale ne affida la narrazione, a questi tre ragazzi, con gli occhi aperti sul fantastico e il cuore rivolto al nuovo.

Senza ignorare che le storie vivono nel tempo e si trasformano secondo il gusto dell’epoca che attraversano, assumendone le sembianze, pur restando identiche nei contenuti fondamentali, così come la lingua e in particolare quella del volgo, il dialetto, che, subisce modifiche, adattandosi mirabilmente alle esigenze del tempo e del luogo, con inflessioni e termini, che possono assumere nel tempo varianti da un paese all’altro, anche a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro. 

E poi, parliamo di vini, di cui pure conosciamo la lunga storia, fatta di esperienze e conoscenze che si sono affinate e accumulate attraverso i secoli, che ora costituiscono un grande patrimonio, custodito da produttori e degustatori, come nel caso specifico, in cui, a fare da testimonial sono, due vini singolarissimi e in qualche modo “storici”.   

Quelli che ho avuto modo di gradire con il dono, sono vini molto diversi, ma entrambi appaiono come il risultato di un amore appassionato, profuso, nel primo caso, nella cura pluriennale di un piccolo gioiello, il “Cotto d’Amore”, vanto di un produttore purtroppo scomparso, nel secondo, il frutto di un ripescaggio dal passato di un antico vitigno autoctono ingiustamente dimenticato, il Montonico della zona di Bisenti, che dà un vino di colore giallo paglierino carico, dal gusto pieno e persistente e bouquet speziato, onore della nostra tavola, al pari di altri vini autoctoni tornati in auge recentemente, come i Pecorino e il Cococciola.

Per conclude, a me sembra che l’amore sia il motivo conduttore di questi regali ed amorevole il gesto di porgerli in dono.

Essi suscitano il ricordo non nostalgico del tempo che fu e il rimpianto per chi ci ha lasciato, ma il grazioso messaggio, non si esaurisce qui ed è promessa di nuove aspettative.

Il passato non è morto e noi che viviamo nel presente, attraversiamo un breve tratto di tempo, nel mare della storia, come meteoriti nello spazio, raccogliamo le tracce di polvere di quelli che ci hanno preceduto, tracciamo a nostra volta una scia effimera, a contatto di un’atmosfera, per spegnerci, lasciando tracce di polvere siderea, a quelli che verranno dopo di noi, che qualcuno delle successive generazioni, andrà forse a scovare, per ritrovare il filo che nel buio dei secoli, conduce fino a quel domani che sarà.

26 ottobre 2023

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