ZIO REMO

 

ZIO REMO
A mio fratello Vittorio, che con me è custode dei ricordi di famiglia e a mio figlio Giuseppe Simone, che tante volte mi ha spronato a raccontarli.
Diretto agli eventuali lettori che si sentano direttamente o indirettamente compresi nei frammenti della costellazione familiare di cui si parla nel testo.
Chissà per quale ragione oggi, appena sveglio, il mio pensiero è andato a zio Remo, il più lontano nella mia memoria, dei parenti del lato materno. Forse per rimediare, sia pure tardivamente, ad un torto consumato nei suoi confronti, a suo tempo, quando era ancora in vita, perpetuatosi poi anche successivamente alla sua morte.
Ho avuto la fortuna di vivere un’infanzia felice, circondato dall’affetto dei miei familiari e numerosi parenti, che mi davano sicurezza e fiducia ed io riponevo in loro tanta parte della mia affettività. Ho voluto bene agli zii, maschi e femmine, con una prevalenza dei primi, perché con loro ho avuto più occasioni di ammirarne le qualità ed apprendere il meglio del carattere di ognuno.
Ai miei occhi, ciascuno di essi ha avuto una personalità ben distinta, tanto da conservare, io, l’impressione di non aver conosciuto in seguito, persone con altrettanta netta definizione.
Dal lato materno avevo due zii maschi, Anzino e Remo e cinque zie femmine, Elvira detta “la prefetta”, Ilda, Stella, Dora e Nina, mentre da quello paterno, lo zio Luigi e sua moglie Maria e le zie Gina e infine Gaetana, con il marito Antonio.
Essi costituivano tutti insieme, una costellazione che mi proteggeva e mi stimolava ad essere migliore e di ognuno di essi conservo un ricordo affettuoso che fa ancora luce su alcuni lati del loro carattere che mi sembrano ancora oggi, particolari.
Zio Vincenzo, scherzoso e amante del buon vino, Berardo, di carattere gioviale, ma, all’occorrenza, serio ed autorevole, Orlando amabilmente sarcastico e Pino, adorabile viveur. Luigi, devoto e modesto, Maria, semplice e genuina, Antonio, di una delicatezza che sfiorava la timidezza, e Gaetana, dall'accoglienza festosa.
Anzino detto “lo scapolo”, aveva un carattere autoritario, burbero ed irascibile, o, a seconda dell’umore, sottilmente irridente, sornione ed accattivante, con la passione per l’avicoltura e per le donne. Per il fatto di aver dovuto sostenere il peso della famiglia alla morte prematura del padre, si riteneva in diritto di imporre la sua volontà sulle sorelle, anche dopo sposate, con periodiche chiamate a rapporto presso la propria abitazione, un palazzetto al centro della città, che a me sembrava come il castello di Don Rodrigo, Remo quieto e remissivo, non prendeva parte alla kermesse familiare imposta da suo fratello e viveva tranquillo per conto suo, con la sua famiglia, un po’ separata dalle altre del gruppo. Di lui ricordo due cose, che mi colpirono a suo tempo e che sono rimaste indelebili nella mia memoria, come emblematiche della sua personalità, ricca di qualità nascoste.
La prima è il suo modo di fumare; non era un grande fumatore, benché particolare. A quel tempo, era usanza scambiarsi periodiche visite fra parenti e zio Remo ogni tanto compariva a casa nostra con la moglie Wanda e i figli, Dario, Anna e Maria, “le gemelle”
Mia zia Gina, fra le altre sue qualità, aveva un’arte che possedeva solo lei, in famiglia: sapeva cucire ed il fratello le aveva messo a disposizione una Pfaff - vuoi mettere l’industria tedesca, specialmente, allora!) e tutti i parenti si rivolgevano a lei per piccoli lavori di riparazione o di accomodo di vari capi di abbigliamento, naturalmente “nummo uno”.
Succedeva ogni volta che, mentre la zia Gina lavorava alla macchina, lo zio Remo si sedeva al suo fianco, a gambe accavallate ed accendeva una sigaretta, conversando con lei amabilmente.
Teneva la sigaretta in modo diverso dagli altri fumatori, non tra due dita, ma con tutta la mano, poi, di tanto in tanto, tirava una boccata, trattenendo il fumo in bocca, piuttosto a lungo, gonfiando leggermente le guance sotto gli occhiali rotondi che portava e, dopo, ingoiandolo letteralmente; mio fratello e io, che lo stavamo a guardare per questa particolarità, non riuscivamo a comprendere come potesse non emettere il fumo dopo averlo respirato: dalla sua bocca non vedevamo uscire nemmeno un filo di fumo e grande era la nostra meraviglia.
La seconda è relativa alla sua morte. Eravamo, mia madre, io e non ricordo chi altri, accorsi alla prima notizia della sua improvvisa scomparsa, a casa sua, a dare conforto ai familiari, affranti e costernati ed io, dopo le prime commoventi espressioni di cordoglio, lasciato libero e curioso come ero, anche da ragazzo, entrai da solo, in punta di piedi, nello studio di casa, con scaffali pieni di libri, con la sensazione di commettere una violazione della intimità, che però mi fece fare una piacevole scoperta che si rivelò illuminante della sua personalità: mio zio, ragioniere, che io avevo sempre visto, poco interessato a cose di natura intellettuale, leggeva Shakespeare; sul suo scrittoio, sul lato destro era posato un volume delle sue opere in edizione di lusso, molto bella.
Presi il libro e lo sfogliai, con timore riverenziale, le pagine di carta india, la stampa ben curata, e la legatura raffinata in pelle, amatoriale, mi rivelarono la personalità di un uomo che non conoscevo. Non era solo un intellettuale, ma anche un bibliofilo, come ebbi modo di verificare anche dalla qualità dei libri allineati negli scaffali del suo studio.
Se avessi dovuto definirlo prima, lo avrei detto freddo ed insensibile, alla luce della nuova rivelazione, capii, invece che era soltanto schivo e non invasivo, immerso in un mondo “altro”, buono e tenero con leggerezza.
Con tutti sono stato aperto ed intraprendente a volte temerario e presuntuoso, perché loro me lo hanno permesso ed io ho avuto incontri e scontri anche vivaci con loro, senza farmi intimidire né dall’aspetto burbero di zio Anzino, né dalla autorevolezza di ognuno di essi in determinate materie, come la musica per lo zio Berardo, col quale ho più volte conversato e discusso alla pari – lui, violinista tradizionalista classico, io altezzoso modernista Jazz – o come il cinema, del quale era passionato lo zio Orlando, che spesso mi portava con sé a vedere film, sui quali poi esprimevamo pareri contrastanti, lui con una lunga esperienza da cineamatore dei primordi, legato ai vecchi modelli, io “aperto al nuovo”.
Con lo zio Remo non ricordo di aver fatto mai una conversazione su un qualsivoglia argomento. Di chi la colpa?
Penso di avere commesso molti torti nei confronti di tutti questi personaggi che hanno costellato il mio mondo di ragazzo, non dando ad ognuno l’importanza che meritava massimamente per quanto riguarda appunto lo zio Remo e mi piacerebbe ristornarli tutti, uno per uno, ringraziandoli di esserci stati e di aver contribuito a fare di me quello che sono, nel bene e nel male (nessuno è perfetto, però siamo tutti rilevanti), ma un tributo particolare vorrei dare alla memoria di zio Remo, proprio per quelle qualità che allora non me lo hanno fatto apprezzare per quello che era e che ora mi sembrano sempre più notevoli perché rivelano la sua integrità d’animo e dolcezza di spirito.
A tutti vorrei rivolgere un saluto affettuoso ed un abbraccio ideale nell’aldilà, immaginandoli tutti riuniti nel Paradiso degli zii, in un carosello fantastico, a fare festa, come una volta. E se mai dovessi avere l’occasione di unirmi a loro, vorrei che il mio posto fosse quello più vicino a lui, potremmo parlare del perché non siamo stati capaci di incontrarci prima.

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