SCONCERTO

 

                                                                               

Caro amico Achille, l’immagine del piatto con l’olio e il cucchiaio, con la quale, gentilmente, hai voluto chiosare le mie note sul “trasecolare”, magnificando un tesoro della nostra terra, come giustamente ha rilevato Lucio, mi ha in qualche modo sconcertato, nel senso che mi ha scombussolato i pensieri e mi ha fatto riflettere, riportandomi e te ne sono grato, dalla sfera ideale, alla viva realtà delle cose buone, intesa come contraccettivo alla tendenza che io sicuramente ho, insieme ad altri, a esasperare ogni concetto, a fini puramente teorici, (dico ad uno e dico a tutti, vero Lucio?).

E qui, a conferma di quanto appena detto, vorrei entrare in un campo, di cui tu sei maestro, quello della musica, per far arrovellare i nostri amici del Circolo dell’Abecedario, sul significato del verbo “sconcertare” e, a tal uopo, se sei d’accordo, lascerei la parola a Maurizio, appena arrivato al Bar dell’Olmo, affinché ci illumini.

Il citato maestro, investito della questione, lieto che finalmente qualcuno si sia accorto di lui, sale in cattedra e, pomposamente inizia a concionare, o, dato l’argomento, a concertare con i suoi sul rovello proposto.

La parola “sconcerto”, inizia col dire, certo viene dalla consimile “concerto”, a cui si appone una “s”, per invertirne il senso e dire il contrario di essa. Per capire lo “sconcerto”, derivato dal verbo “sconcertare”, che significa “sparigliare”, bisogna quindi partire da lì. Cos’è un concerto? L’unione armoniosa di suoni emessi da diversi strumenti, che eseguono un medesimo brano di musica. Pertanto lo sconcerto, in quanto il contrario di concerto, significa mancanza di unione e di armonia, per cui ogni strumento va per conto suo, e, anziché un concerto, si ha una cacofonia.

Nel gergo teatrale, se non vado errato, si chiama “Limbo” quella frazione di tempo che precede l’inizio del concerto prima dell’arrivo del maestro, in cui i vari strumentisti procedono a “riscaldare” gli strumenti, emettendo suoni discordanti e dissonanti, che creano nella sala, in genere gremita di persone e di voci a cui  si aggiungono questi suoni indistinti, una strana atmosfera di sospensione e attesa, in cui i pensieri degli spettatori, “galleggiano” nel vuoto, “sconcertati” dalla situazione un po’ surreale. E qui sarebbe bello indagare sul perché di quel nome simbolico dato agli attimi che precedono l’inizio del concerto: chi sono gli abitatori di quell’oasi di quasi beatitudine, il Limbo, che si trova nell’Inferno e che evoca bagliori conturbanti?

Dopo una breve pausa di riflessione (ma, ha senso quello che oscuramente ho detto? si chiedeva) Maurizio riprende a parlare.

Lo stesso avviene anche in altri campi, se, in un gruppo, di fronte ad una situazione condivisa da tutti e già consolidata, all’improvviso, si leva una voce discordante, si crea uno scompiglio, che è “sconcerto” per i più, nel senso di un vero e proprio disorientamento. Ognuno è costretto a rivedere la propria posizione e si perde l’armonia, l’unità degli intenti.

Lo sconcerto, disse Maurizio, al contrario del trasecolare, che è una manifestazione macroscopica (nei casi più gravi, chi ne è colpito, può sbiancare in volto),  implode dentro, è silenzioso: mi lecco le ferite, non urlo, non trambusto. Ma ripenso. L’intero edificio dei miei convincimenti, può traballare.

Debbo ringraziarti, dunque, caro amico del mio autore: il tuo intuito di musicista, che con il suono esprime ciò che non è possibile dire con le parole, ti ha suggerito l’accostamento di quella tua bella immagine, alle sue parole, in una fusione di pensieri espressi e rappresentati, in colloquio tra di loro, con vantaggio reciproco.

Caspita , come siamo diventati sofisticati, Maurì, tu parli come un libro stampato! Asserisce convinto Pancrazio.  Poi continua, risentito: Tu conferisci (ti piace “conferisci, eh?”) con l’autore e i suoi amici, senza dirci niente, a metà strada tra la carta sulla quale sono stampati i nostri nomi e la vita vera delle persone che – forse – ci leggono. Complimenti! Quando permetterai anche a noi, che stiamo qui a reggerti la coda, di essere un po’ più che fantasmi che si agitano nella mente… di chi, poi?

E salutami Achille, digli che qui ci sono anch’io, che a forza di sconcertarmi, mi sono pisciato addosso, mannaggia alla miseria! Ora vado a cambiarmi. Chiudiamo il sipario.    

 

 

 

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