IL DISFACIMENTO DELLA STORIA

 

                                                                                                     

 I normanni bevevano calvados.     .

“Il venticinque settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d'Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare un momentino la situazione storica. La trovò poco chiara. Resti del passato alla rinfusa si trascinavano ancora qua e là. Sulle rive del vicino rivo erano accampati un Unno o due; poco distante un Gallo, forse Edueno, immergeva audacemente i piedi nella fresca corrente. Si disegnavano all'orizzonte le sagome sfatte di qualche diritto Romano, gran Saraceno, vecchio Franco, ignoto Vandalo. I Normanni bevevan calvados.

    Il Duca d'Auge sospirò pur senza interrompere l'attento esame di quei fenomeni consunti.

   Gli Unni cucinavano bistecche alla tartara, i Gaulois fumavano gitanes, i Romani disegnavano greche, i Franchi suonavano lire, i Saracineschi chiudevano persiane. I Normanni bevevano calvados.

   - Tutta questa storia, - disse il Duca d'Auge al Duca d'Auge,- tutta questa storia per un po' di giochi di parole, per un po' d'anacronismi: una miseria. Non si troverà mai via d'uscita?” 

Raymond  Queneau, I Fiori blu

Ecco un problema inconsueto, disse Maurizio: uscire dalla storia, è possibile uscire dalla storia?

Italo Calvino, che ha tradotto il libro di Queneau, nella Nota del Traduttore in appendice, parla di disfacimento della storia, ma cosa sarà mai?

O Maurì, intervenne saggiamente Pancrazio, che ci stiamo a preoccupare? L’altro giorno, a Colleminuccio è caduto un albero secolare, che per tirare fuori le radici, ho dovuto prendere il trattore; qualcuno farà mai la storia di quell’albero?

 

I normanni bevevano calvados, disse ad un tratto Oreste, io non sapevo nemmeno cosa fosse, poi un giorno, un amico, che ora non c’è più, me ne portò una bottiglia. I normanni bevevano calvados, insiste Queneau ed allora a me viene in mente Giovanni Pascoli, La Cavalla Storna. I cavalli normanni alle lor poste, frangean la biada con rumor di croste.

Eccone un altro, questa mattina tutti d’accordo a farmi uscire pazzo? Inveì Pancrazio, una stronzata dopo l’altra! Ora basta, parliamo di cose serie.

 

Un giorno d’autunno del 1976, al di qua, o al di là della storia, in un (im)probabile Paradiso, Giovanni Pascoli, già lì fin dalla primavera del 1912, in abiti dimessi, da vecchio romagnolo, finito tristemente negli ultimi anni a bere vino in terra di Maremma, con in mano le briglie sciolte della cavallina storna, incontrando Raymond Queneau, stanco del lungo viaggio, che però era durato un attimo, fresco di memorie, con all’occhiello i fiori blu, lo apostrofò dicendo

I normanni bevono ancora calvados?

Queneau, guardandolo dall’alto in basso, con un sorriso gentile, ma distante. Pardon, monsieur? Poi, conciliante, come hai fatto a saperlo, tu, che, quando io scrivevo dei normanni, non c’eri?

Quel che accade laggiù, qualche volta, si risà pure quassù, rispose il Fanciullino con i baffi e il cappello in testa.

E i tuoi cavalli normanni, continuano a frangere le croste? Chiese allora il francese.

Di rimando, Pascoli: tu sai dei cavalli normanni?

Ero ancora studente, quando la cavallina nitriva sul libro di letteratura.

 Ma ora, piuttosto, dimmi: cosa hai fatto di quella tua cavallina?

 

Noi, che ci preoccupiamo tanto delle nostre piccole storie, Lucio che, bontà sua, ammette di essere pure lui “impermanente”, cosa siamo di fronte a queste due storie impossibili, così lontane tra loro, legate solo casualmente da un nome? Triste considerazione di Maurizio.

Poi si alzò Pancrazio.

 

 

Ma si tratta di un gioco, vero? Chiese, così, tanto per chiudere la partita, basta con le muffe! Apriamoci alla vita, all’improbabile, all’incostante, all’inconsistente, non serve a nulla anatomizzare ogni nostro pensiero, ogni nostro istante!

Io, in storia, sono stato bocciato due volte, alle medie, ma questa è una cosa tutta privata, non finirà mai su nessun libro.

 

 

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