GIORNI PREZIOSI
Oggi voglio farvi una prolusione, iniziò a dire Maurizio.
Oddio no! Insorse Pancrazio. Perché, cosa ti abbiamo fatto? Se qualcuno ti ha fatto incazzare, dillo a me che lo sistemo per le feste.
Ma no, ma che dici, l’argomento di cui vi voglio parlare è troppo importante, tanto da meritare una prolusone, parola sontuosa, che non uso volentieri, perché sa troppo di accademia e noi non siamo qui per fare accademia, se non d’accatto.
Avevo sentito preclusione e avevo pensato che volessi chiudere la scuola. Si giustificò Pancrazio, comunque la vedo proprio nera e sventagliò un rapido sguardo sulle teste degli altri allievi, per sondarne gli umori, oggi il Maestro è proprio su di giri.
La prolusione, riprese paziente Maurizio parola composta da “pro” e “ludere”, giocare, che letteralmente vuol dire “che precede il gioco”, letterariamente è una introduzione…
Lo dicevo, insorse Pancrazio, avevo ragione o no? Chi è che si vuole introdurre?
Insomma, mi fai parlare? protesto Maurizio e continuò: vi voglio leggere una poesia, poi ne parleremo. Tirò fuori di tasca un foglietto e cominciò a leggere.
FRANCO ARMINIO
SONO GIORNI PREZIOSI
“Tutto ciò che non era nostro
è caduto, ora dobbiamo vivere
con ciò che ci resta,
ora sappiamo che la vita
è enorme
anche quando è silenziosa
e ferma.
Il sacro è tornato,
è sacro scrivere una lettera, aspettare un abbraccio,
innamorarsi,
accompagnare qualcuno
nel fiordo
della tua paura.
Sono giorni rari,
sono giorni preziosi
in un tempo miserabile,
facciamo qualcosa
per meritarceli.
È una fortuna essere qui,
ognuno a casa sua
ma tutti assieme
nella casa del mondo.
P.s.
Questa poesia è una riscrittura di un vecchio testo trovato in Rete.
Molti io li ho smarriti.
Magari qualcuno potrebbe venirmi utile per il prossimo libro: ci lavoro fino alla fine di ottobre.
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Per chi vuole esagerare e aiutarmi da vicino
Io sono alla casa dalla paesologia da domani al 29 settembre.
Il libro si chiamerà CANTI DELLA GRATITUDINE.
Vi piace?”
Posò il foglio sul tavolo e chiese A voi è piaciuto? Senza attendere una risposta, seguitò:
Sono giorni preziosi quelli della nostra vita, ma quando è che diventano veramente tali? Quando tutto è perduto e quel che rimane è tutto e quindi è prezioso. A Maurizio vennero in mente le parole di Faust nell’aria del Mefistofele “Giunto sul passo estremo, della più estrema età”, poi cominciò:
Preziosi perché rari come gioielli; perché la vita è breve; preziosi per noi che abbiamo la fortuna di viverli.
Sono preziosi fin dalla nascita, obiettò Silvana, sensibile al tema della natalità, anche se da piccoli, la felicità è inconsapevole, da maturi, si dimentica perché distratti dalle incombenze quotidiane, la cognizione del valore della vita, si acquista col tempo, man mano che si fa chiaro il senso della nostra impermanenza, come direbbe Lucio.
È vero approvò Maurizio, anche se la memoria corre a quella che Dante chiama “questa tanto picciola vigilia d’i nostri sensi, ch’è del rimanente”. Ulisse arringa i suoi uomini, spronandoli a “seguir virtute e conoscenza”; là, nel canto V dell’Inferno, l’invito era a non negarsi, anche disperati, un’ultima esperienza, quella di conoscere l’inesplorato, la terra senza gente, qua, da noi, in circostanze non così drammatiche, ci accontentiamo di considerare il da farsi per meritare il dono quando i giorni restanti diminuiscono e ci si accorge di quello che è veramente importante, allora, la consapevolezza del valore di ogni singolo atto, di ogni singolo giorno è come nascere una seconda volta in una nuova vita, aprire gli occhi e prendere coscienza di quello a cui non abbiamo dato importanza nella precedente, perché troppo occupati in futilità, presi dal nostro “io”: cosa è il mondo e cosa è la vita.
Quando che la corsa rallenta, o si ferma, possiamo godere di quel che resta, che non è poco. Anzi è immenso, ci dice l’autore della poesia, anche quando tutto è fermo.
Lucio, in particolare, ha più volte accennato ad un dono, consistente nel fatto che ogni giorno in più che viviamo è un regalo che ci viene dato dal fato, del quale ci invita a godere fino in fondo. Dobbiamo fare in modo da meritarcelo.
Faccio mio questo testo, chiedendo perdono all’autore, se, nel condividerlo aggiungo alcune considerazioni che attengono al contenuto di esso, con modifiche.
Volevo dire! Insorse Pancrazio, rivolgendosi all’uditorio intero: il nostro Maestro ha sempre qualcosa da dire, vero?
Maurizio tralasciò di rispondere all’encomio, e continuò: Il sacro è tornato, dice il nostro poeta, perché “il sacro”?
Sappiamo bene cos’è il sacro e cosa è il profano: quello che è dentro il recinto (della religione) e quello che ne è fuori. La domanda è: esiste una religiosità dentro di noi, senza essere necessariamente religiosi? Altrimenti, da dove ci viene questa luce che abbiamo dentro?
Nel testo, la dimensione del sacro spazia e si estende su ogni cosa, scrivere una lettera, innamorarsi, attendere un abbraccio. Non credo per una particolare vocazione religiosa dell’autore, ma come un respiro panteistico che avvolge tutte le cose di cui prendiamo coscienza, che riguardano il nostro vivere ed agire, .
In questo senso, è sacro, paradossalmente, anche il profano, perché consideriamo sacro quel che ci sta più a cuore, che vogliamo chiudere e conservare in un luogo privilegiato, nel nostro cuore.
Un’ultima considerazione: accompagnare qualcuno nel “fiordo della tua (nostra) paura”, è espressione suggestiva ed enigmatica che introduce elementi di inquietudine.
Io lo prenderei a schiaffi, se uno mi volesse portare sul fondo della paura, disse indignato Pancrazio.
Non si tratta di questo, replicò Maurizio; il fiordo è un braccio di mare, stretto tra alti scogli, tortuoso, frastagliato e profondo. La metafora del fiordo, per indicare i meandri della nostra psiche, nel fondo della quale alberga l’ignoto che ci fa paura è singolare ed efficace. Permettere a qualcuno di penetrare, nel segreto della propria anima, favorendone l’ingresso con una specie di viatico, è una apertura all’altro che ritengo di grande interesse e passibile di espansione.
Qui, però, il sacro ed il profano si mescolano in modo inestricabile.
Non sono d’accordo; a calci in culo, chi pretende di rubarmi l’anima, bisogna prendere il diavolo per le corna, senti a me! Fu la reazione scomposta di Pancrazio.
Maurizio, comunque, dopo la lettura, fece affiggere alla bacheca del Circolo il foglio che aveva posato sul tavolo, senza aggiungere le sue osservazioni.
Canti della gratitudine ci sembra proprio un bel titolo per un libro. Disse. Se dovessi scriverlo io, però, lo chiamerei Canto della Gratitudine e non Canti, perché quello che si innalza è un solo canto, unico, corale, sempre lo stesso, anche se articolato in varie forme, ma questo è un dettaglio.
Mi piace quello che hai detto, disse Pancrazio, sinceramente accorato; noi a Colleminuccio, Giulia, io, Evelina e i paesani che vengono ad aiutarci, nei giorni della mietitura, cantiamo tutti assieme e la voce è unica ed è grande la gratitudine del raccolto.
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