GARIBALDI FERITO

 

                                                                       

Un’altra cosa, non mi è chiara, continuò Pancrazio rivolto a Maurizio, tu hai detto che sull’Aspromonte, Garibaldi fu ferito dal fuoco italiano. Come è possibile ciò? Garibaldi non era andato a liberare l’Italia?

Siamo negli anni cruciali della nascita del nuovo Stato Italiano, tra il 1860, l’anno della partenza dei Mille da Quarto, al 1862, quello della sua conclusione drammatica.

Due anni prima dell’episodio di Aspromonte, avvenuto il 29 agosto 1862, che fu una vergogna per il giovane stato italiano, proclamato appena il 17 marzo dell’anno precedente, rispose d’un fiato Maurizio, c’era stato l’incontro a Teano, in provincia di Caserta, fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II, svoltosi il 28 ottobre 1860, in cui, conclusa vittoriosamente la Spedizione dei Mille, il generale Garibaldi aveva consegnato a Vittorio Emanuele l’intera Italia del sud, riconoscendolo primo Re del costituendo Regno d’Italia.

La liberazione dell’Italia era in gran parte avvenuta, per merito dei mille di Garibaldi, mancavano all’unità, lo Stato Pontificio, difeso dai francesi di Napoleone III ed il Lombardo Veneto. Intenzione di Garibaldi era quella di proseguire nell’avanzata ed arrivare fino a Roma, ma il governo piemontese, per tema di coinvolgere nella guerra la Francia e rischiare di perdere tutto quello che fin lì si era conquistato, intimò a Garibaldi di fermarsi e quello si fermò.

Due anni dopo, invece, il governo, divenuto ormai Italiano, fece pervenire sottobanco a Garibaldi l’invito a proseguire la marcia con i suoi volontari e conquistare anche Roma, con la riserva mentale che, se l’impresa fosse riuscita senza conseguenze negative nei confronti dello Stato Francese, il Re se ne sarebbe intestato il merito, in caso contrario era prevista un’azione punitiva, di copertura, nei confronti di Garibaldi.     

Sta di fatto che, l’ambiguità del governo italiano, portò all’incertezza e alla contraddittorietà degli ordini impartiti ai reparti militari nei quali si parlava di fermare Garibaldi e, nonostante la disposizione da questi impartita alle sue Camicie Rosse, di non aprire il fuoco contro i soldati italiani, colpi partirono e si generò una scaramuccia, tra “volontari” e “regolari” dello stesso schieramento e Garibaldi fu raggiunto da due palle di carabina sparati  in modo mirato, che lo ferirono all’anca sinistra e al malleolo destro e, in barella, fu arrestato e portato in un luogo di detenzione, dove fu tenuto prigioniero per diverso tempo.

In seguito fu rimesso in libertà, grazie ad un “provvidenziale” provvedimento di amnistia emanato dal Re e poté tornare, stanco e ferito, non solo nel corpo, ma anche nell’animo, nella sua Isola di Caprera, portando con sé il suo mitico sacchetto di fagioli.

Nelle sue memorie, egli scrisse di essere disgustato dal comportamento dei suoi contemporanei.

Secondo me, argomentò Pancrazio, i fagioli erano tarlati, come i lupini dei Malavolta, probabilmente un napoletano gli aveva rifilato la fregatura, per questo era incazzato nero.

I lupini tarlati erano dei Malavoglia…

Sì, ma, per Garibaldi, non credo che si sia trattato solo di cattiva volontà. Ci deve essere stata qualcosa sotto.

Certo, tagliò corto Maurizio, altrimenti non si sarebbe dimesso polemicamente anche dalla carica di componente del Parlamento Italiano. Ma ora basta, non diciamo altre corbellerie!

Tu parla per te, io sono libero di dire quello che penso! Fu la risposta di Pancrazio.

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