UGGIA

 

                                                                                            

A volte, principiò a dire Maurizio, mi sembra di avere in uggia ogni cosa…

Capita pure a me, sai? Lo tamponò Pancrazio; anche io quando torno a Colleminuccio, ho l’impressione di non volere altro: ho tutto quello che mi serve e mi sento tranquillo. E’ l’effetto del paesello, credo.

Ma che paesello e paesello, alzò la voce Maurizio, alquanto spazientito, sto dicendo che mi sento dentro un interno malessere che mi fa stare a disagio, l’uggia, che non è ancora la noia, ma può dare anche più fastidio.

Sei mica un cane che ti metti ad uggiolare? Ironizzò sprezzante Pancrazio. Questa non l’avevo mai sentita.

Vedi, gli disse Maurizio con pazienza trattenuta, disponendosi ad una spiegazione minuta, vi sono parole che uno usa inconsapevolmente, che hanno il potere di rendere visibile, o comunque visiva, l’immagine della cosa che si vuole rappresentare. Uggiolare è una di esse, ma oltre all’idea della cosa, trasmette anche il suono che essa produce, cioè ha una funzione onomatopeica. Viene dal latino “ejulare”, poi divenuto “ujulare”, da cui proviene anche l’ululato del lupo, che però è un’altra cosa rispetto al mite uggiolare, che è il tipico lamento del cagnolino per una insoddisfazione recondita, un’ansia che non si sa da che generata, che lo induce ad emettere quel segnale, in modo sommesso e continuato.

Lo stesso si può dire per “aduggiare”? chiese inaspettatamente Oreste.

“Aduggiare” fa rifermento all’ ”uggia”, come una forma di noia, ma ha, invece, un significato specifico, tutto suo, quello di “nuocere facendo ombra”. Come si passa dalla noia all’ombra?  

Ancora una volta soccorre il latino: “Uggia” in italiano significa sia “noia” che “ombra”, derivando dal lemma latino “udus” che vuol dire “umido” e, se il posto è umido, vuol dire che è all’ombra.

Ma non vi sembra ammirevole che da una stessa parola, nel caso nostro è l’uggia, possano derivare così tante immagini e sensazioni? Un fastidio che attanaglia l’animo e lo dispone alla noia, un male oscuro che fa lamentare il cane, l’ombra che, anziché rinfrescare gli spiriti, getta nell’ambascia, l’umido che si accompagna facilmente con l’ombra e col disagio che da esso deriva, il grande albero che con la sua ombra impedisce ad altre piante di nascere e prosperare, il luminare che con la sua fama “aduggia”, cioè fa ombra che oscura quella del suo pur valido assistente, ecc., in  un “continuum” che fa riecheggiare, per fortuna solo da molto lontano, anche il sinistro ululato del lupo nella notte dei nostri sogni infantili.

Uuuuhhh! Uuuhhh!!! Latrò Pancrazio, rompendo la cortina di nebbia che si era parata agli occhi di tutti e imponendo, anche ai più restii, di rimanere svegli, vincendo le lusinghe del sonno più profondo.

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