LE ORE E I LIMONI

 

                                                                       

Mi sa, bisbigliò Pancrazio all’orecchio dell’amico Sebastiano, occasionalmente seduto al suo fianco e prima che il Maestro iniziasse la quotidiana chiacchierata su un argomento a sua scelta, che Maurizio oggi ci proporrà una delle sue astruserie più assurde. Me lo dici tu come si fa a parlare di ore e di limoni messi insieme? Come sommare i ceci con i corbezzoli: non si può, semplicemente; è una delle prime cose che ho imparato a scuola: non si possono sommare due cose diverse! 

Senti, qui non siamo a scuola, gli rispose sottovoce Sebastiano, dobbiamo avere fiducia nel nostro amico e se lui dice che si può fare, vuol dire che le cose sono cambiate da quanto tu facevi la prima elementare.

Forse vi starete chiedendo, disse a proposito Maurizio, alzando gli occhi dal libro che aveva davanti, come mai ho messo un titolo così strano al tema di oggi. Naturalmente erano in molti ad ascoltare, ma gli unici che fecero un cenno di assenso furono solo i due del primo banco.

Ebbene, abbiamo parlato nei giorni scorsi delle morte e qui non voglio ripetermi, ma solo aggiungere alcune considerazioni che forse potranno risultare utili ad una maggiore comprensione di quanto abbiamo già detto.

La vita, che come sappiamo, è l’altra faccia della morte, viene descritta come giovane, bella, ridente, mentre la morte è vecchia, nera e funesta. Il primo a parlare di ore, a proposito della vita, fu Ugo Foscolo, nei Sepolcri, là dove dice “quando intorno a me non danzeranno più le ore”. Il tempo, le ore, sono la vita e una volta che queste si fermano, subentra la morte.

La poesia del Foscolo è stata pubblicata nel 1807, ma verso la fine dello stesso secolo, nel 1897, o giù di lì, un musicista, Amilcare Ponchielli, riprese il tema, o forse è il caso di parlare di immagini, suscitate dalla visione delle ore che danzano, come emblema della vita, inserendo nella sua opera la Gioconda, un’apposita coreografia sotto forma di balletto danzato da 12 ballerine che rappresentano le ore e due ballerini che invece fanno la parte delle lancette dell’immaginario orologio, per farne un amabile spettacolo.

Solo un secolo dopo il suo debutto, la Gioconda ebbe il suo meritato riconoscimento con un successo mondale, proprio per merito della Danza delle Ore che ne costituisce la parte più godibile.

Va bene, interferì in tono saccente Pancrazio, e i limoni? Anche i limoni odorano di morte?

Tu Pancrazio, lo riprese Maurizio in tono severo, sei precipitoso, ma, sbagliando ti capita anche di colpire nel segno.          

Io…? Farfugliò l’incorreggibile, cambiando atteggiamento, io, non volevo colpire nessuno.

Voglio dire, lo blandì Maurizio, che già aveva superato lo screzio iniziale, che tu, inconsapevolmente, hai anticipato quanto intendevo dire io: l’odore dei limoni, in letteratura, ha molto a che vedere con la morte. Anche l’odore di questo agrume, così gradevole, rappresenta la vita e la sua assenza, invece, viene accostata alla morte.

Quindi le ore, cioè il tempo che scorre e l’odore dei limoni, rappresentano i lati buoni della vita, i piaceri in qualche modo spirituali del divenire e i piaceri materiali, dei sensi, che si contrappongono alla morte.

C’è il personaggio di un romanzo moderno, di autore siciliano, il quale, sapendo di dover morire, si lamenta del fatto che non potrà, una volta morto, più sentire quell’odore che invece era per lui motivo di grande soddisfazione, ogni mattina, nel respirarne la fragranza, appena sveglio nel suo giardino di limoni.

Non so se da questo personaggio, o autonomamente, è, invalsa poi una credenza, quella che, in punto di morte, ogni transeunte, possa avvertire il profumo dei limoni in fiore.

Secondo me, intervenne Sebastiano, è come quelli che dicono di aver fatto l’esperienza di una morte apparente e di aver “visto di là” una luce e sentito una musica celestiale. Tutte balle.

Ma nessuno di voi ha mai letto la poesia di Eugenio Montale intitolata proprio “I Limoni”? chiese ispirata Silvana, asciugandosi le mani sul grembiule che indossava quando era dietro al bancone.

Tocca anche a noi poveri (mortali) quel poco di ricchezza, che è il profumo dei limoni, dice ad un certo punto, il poeta, non vi sembra commovente?

Gli astanti si agitarono sulle sedie, guardandosi l’un l’altro con fare incerto, poi tutti volsero gli occhi interrogativamente verso il Maestro che, invece era rimasto calmo e taceva, come in trance, fulminato dall’improvvida domanda dell’allieva.

Dopo un momento di comprensibile silenzio imbarazzato, Sentite, propose, ragionevolmente, Pancrazio, che ne dite se ce la facciamo leggere questa poesia, tutta quanta dalla nostra cara compagna? Ché, forse, non ce l’ho pure io un limone, nel mio orto a Colleminuccio? Potrei imparare qualcosa di utile, per esempio come potarlo, non vi sembra?      

Tutti risero, poi tornarono con gli occhi al maestro come a cercare una composizione al quadro irrealistico che si era determinato nel gruppo, fidando sulla sua saggezza, ma Maurizio non era già più lì.

 

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