ELOGIO DELL'APPROSSIMAZIONE
So che esiste il perfetto; esiste anche il sublime. Ma io amo le cose piccole, più vicine a me. Non mi dispiace l’imperfetto, mi basta e mi trovo bene con tutto ciò che è approssimativo, con ciò che si avvicina al vero, piuttosto che con il vero in sé e per sé, che può essere imbarazzante, troppo condizionante.
Dopo un attimo di riflessione, come a cercare in fondo alla sua mente un concetto che faticava ad emergere, labile e tendeva a sfuggirgli, Maurizio continuò, dicendo:
La verità è abbagliante. Se viene scoperta tutta in una volta, può essere accecante, mentre, avvicinarsi ad essa per successive approssimazioni, consente di scoprire i particolari, i dettagli, che mano a mano conducono al tutto, dopo che gli occhi si sono abituati alla luce che da essa promana.
Ma così, allora, non arriveremo mai a sapere se una cosa è vera, o no, insorse Pancrazio.
Infatti, caro Pancrazio, rispose pacatamente Maurizio, noi la verità ultima, la scopriremo solo alla fine.
Mi dispiace, ma io non ci sto, ribadì quello, io voglio sapere se una cosa è bianca o nera. O se sono solo io a vederla così.
Ah, Pancrazio, Pancrazio, lo apostrofò il Maestro, con voce forse un po’ troppo accorata, come si fa talvolta con bambini bizzarri, cui si vuole molto bene, tu sei proprio un uomo adamantino, duro, schietto ed incorruttibile. Sei il migliore di tutti noi.
Mi sa che mi stai prendendo per il…fondo dei pantaloni, ma a me non mi freghi! Tante belle parole, solo per dire che sono un ignorante. Pancrazio era fiero per l’apprezzamento, ma, temendo che le lodi, troppe sperticate, tributategli dal Capo, potessero, per invidia, suscitare l’ilarità degli altri ascoltatori, si guardava intorno, in cerca di eventuali sorrisetti maliziosi sul volto dei marpioni, pronto a rintuzzarli da par suo.
Vedi, noi, continuò l’oratore, ma parlava solo per sé, con un involontario uso del “nos maiestatis” che non gli si addiceva, siamo uomini complessi, per non dire complessati. Siamo assaliti da dubbi e abbiamo remore che ci si attaccano dappertutto, mentre invece tu solo, vedi, di fronte a te, una via dritta, lunga, agevole e pienamente rispondente ai tuoi desiderata.
La via di Colleminuccio…, cominciò a dire Pancrazio, ma Maurizio non gli dette modo di continuare, sovrapponendo la sua voce:
Noi siamo come dei pellegrini che percorrono un lungo “iter hierosolymitanum” in cerca di certezze che non abbiamo, attraverso lagune e stagni con tafani e zanzare, quando non anche con alligatori e sanguisughe. L’apparizione di una radura può essere confortante e tenerci appagati.
Mi debbo essere perso qualche parte importante del tuo discorso, perché non ci ho capito più niente, affermò sconsolato Pancrazio, insomma, ma se tu devi affrontare un viaggio, ti vai a scegliere proprio la via più scarruffata? Non ti andrebbe una bella via maestra, silenziosa e lesta?
Con quest’ultima battuta, l’uditorio proruppe in una sonora risata che risuonò anche nel locale bar, dove Sebastiano era intento a preparare l’apericena in attesa di clienti sfiziosi, ma Pancrazio non se la prese, sapeva di aver detto una cosa sensata, cui nemmeno Maurizio avrebbe trovato da ridire.
Alla faccia dell’approssimazione, pensò, tra sé e sé. E si avviò per uscire. Al bancone sottrasse un crostino al salmone capperi e maionese, eludendo la sorveglianza di Silvana che li stava preparando e, soddisfatto, abbandonò il locale, insalutato ospite, avrebbe detto qualcuno.
E si, l'unica certezza forse è che sentiamo di esistere come vediamo che esiste cio che ci appare come realtà in cui siamo, tutto il resto è approssimazione come tu dici il buon Pancrazio che si rassegni.
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