PROLISSO
LO SPIFFERO
Lo sapete? Proruppe Pancrazio, appena entrato nel locale, qualcuno è andato a spifferare a Maurizio che i suoi scritti sono troppo lunghi e professi e che la gente si scoccia a leggerli.
E lui? Chiese Sebastiano.
E’ incazzato come una iena, ma non lo fa trapanare.
Insomma, cosa è successo? Chiese Oreste, non ho capito un tubo di quello che hai detto.
Pancrazio lo riguardò tra offeso (per sé) e impietosito (per la deficienza dell’amico): non ti sei ancora svegliato, questa mattina, o io parlo arabo?
Intervenne Silvana a placare gli animi: Pancrazio ci ha detto, spiegò paziente, che a Maurizio qualcuno ha detto che egli scrive in maniera prolissa.
E allora? Replicò quello.
Qua viene il bello, annunziò Pancrazio trionfalmente, rivolgendosi a tutti e a nessuno; Maurizio ha preso carta e penna e si è allungato in una lettera di risposta che a dire prolasso è poco. Egli ha voluto spiegare all’impunito, come sa fare lui, cosa significa scrivere lungo. E questa volta ha esagerato. Voglio proprio vedere chi mai andrà a leggere tutte quelle fesserie che ha detto. Ma se voi proprio ci tenete, andatevi a vedere sullo Zibaldino la voce PROLASSO, o forse è PROLISSO, non ricordo bene.
PROLISSOQuando già la giornata sembrava volgere verso quella normalità un po’ anonima e, se vogliamo, anche anomala di sempre, con quell’atmosfera un po’ surreale che si creava tra i componenti del gruppo di improbabili intellettuali che facevano capo a quel bar fantasma, collocato fra brume di pura fantasia, Maurizio, l’animatore, se vogliamo, dello spirito pionieristico comunitario, che mancava del tutto, con voce sommessa, cominciò a parlare e sembrava parlasse a se stesso, tanto era l’interesse dei presenti ad ascoltare le sue parole.
Rimiratore, cominciò a dire, sotto le mentite spoglie di Lucius, o Lucidus, non ho capito bene, mi dice che i miei testi, pur non privi di una qualche originalità, sono troppo lunghi e faticosi da leggere, ricordandomi che la prolissità scoraggia gli eventuali lettori.
Orbene, sì, lo ammetto – e la sua voce si innalzò di un tono – sono prolisso e posso essere tacciato di tutti i difetti che tale condizione comporta. Cionondimeno, vorrei dilungarmi ad illustrare quel che io penso a tal proposito.
Nel linguaggio comune, “prolisso”, detto di uno scritto o di un discorso, non significa solo “lungo”, ma anche noioso, inutilmente verboso, in ultima analisi, perfino pedante e insignificante, scipito.
L’origine della parola è al solito, latina; viene da “prolixus”, che nel significato originario suonava “che scorre in avanti”, in quanto derivato dal verbo “pro-linquere” che significava “scorrere”,
Siamo nel campo della “pletora”, che significa “sovrabbondanza”, eccessiva quantità di cose, con un senso anche leggermente ironico, come un affastellamento di cose inutili.
E’ l’esatto contrario di “laconico”, termine che si usa per definire uno scritto o un discorso, che lasciano a desiderare per l’eccessiva brevità ed asciuttezza sintetica, fino a lasciare insoddisfatte alcune istanze o aspettative create con essi.
Qui l’origine ci riporta ad un dialetto, quello che si parlava nell’antica Grecia, nella regione della Laconia, e soprattutto a Sparta. Sembra, infatti, che i Lacedemoni, oltre alla forte vocazione guerriera, vantassero anche un modo di esprimersi particolarmente conciso ed energico.
Tornando al nostro “prolisso”, aggiungerei, a costo di apparire anche in questa occasione, tale, disse Maurizio, che il suo significato potrebbe anche essere quello di eccessivamente minuzioso, particolareggiato, proprio di chi si compiace di allungare il brodo oltre il limite della piacevolezza e dell’interesse che l’argomento oggetto del discorso possa suscitare, sì da scoraggiare non soltanto i lettori pigri, o frettolosi, come è stato detto, ma anche quelli più pazienti e consenzienti.
Non sembri prosaico, né pletorico, allargare anche solo di poco, il discorso, andando a cercare il significato di una parola che con il “prolisso” ha una qualche affinità, che è il “prolasso”.
Dal latino tardo “prolapsus”, participio passato del verbo “prolabor-prolabi”, che vuol dire “cadere in avanti”, è un termine esclusivamente medico ed indica un fenomeno patologico di organi interni che fuoriescono da orifizi naturali. E tanto basti, perché non è materia di nostra competenza. A noi premeva soltanto notare quanto fosse vicina l’idea di qualcosa che scorre, come un profluvio di parole (inutili), a quello di “cadere davanti,” che, invece si verifica in campo organico e, ipotizzare una possibile estensione figurativa della natura patologica del prolasso allo sbrodolamento della figura retorica del parlare prolisso.
Sai che ti dico, Maurizio? Disse subito Pancrazio, che fino ad allora aveva taciuto, con gli occhi sbarrati e una mano davanti alla bocca, tu fa come ti pare, ma io, da ora in poi, non metto più lingua, parola mia! Non vorrei proprio essere taciuto come te con il prolasso!
Commenti
Posta un commento