LAMBIRE

 

                                                                             

La nostra lingua può conoscere momenti di grande tenerezza: pensate al verbo “lambire”; esso si usa per indicare scenari di serenità, in natura, quando questa si presenta sotto il suo aspetto migliore e accattivante, come pure nei rapporti che si svolgono normalmente fra gli uomini, quando gli stessi sono improntati alla socialità e all’amore.

La voce di Maurizio appariva insolitamente calda, accorata, piena di meraviglia, come stesse dicendo di una perla scoperta in quel momento, nel pagliaio delle sue idee.

Di solito lambire si usa per descrivere il tocco lieve di una carezza, o il fluire, scorrere delle acque chete, ma in effetti, il termine deriva dal “Lambère”, o “làmbere” latino, a sua volta mutuato da un analogo verbo greco, che significa “leccare, succhiare, o suggere” ed ha, quindi a che fare con la bocca, o meglio con le parti di essa che sono le più sensibili, cioè la lingua e le labbra.

Leccare, come sfiorare lievemente con la lingua, oppure suggere come fa il gatto, lambendo il latte dalla sua ciotola.  Ma a me piace pensare alle labbra. La stessa parola deriva da una radice comune al “lambire” ed è quindi con le labbra che si produce il contatto più dolce, che può essere un semplice sfioramento, ma più spesso è un durevole attimo di puro godimento, del piacere di dare o ricevere un bacio. E’ l’espressione più pura e più bella dell’affettività, che si riversa nei confronti dei bambini,  dei parenti e conoscenti, degli anziani, dei deboli, dei malati, ma che soprattutto esplode in tutta la sua ricca gamma di sensazioni nel bacio tra due innamorati.

E’ il trionfo dell’amore, quando non è frutto di perfidia. Si pensi al bacio di Giuda dato a Gesù, in presenza degli sgherri venuti per arrestarlo, dato come segnale convenuto per rendere possibile l’identificazione dell’uomo da arrestare.  

L’altro giorno, intervenne Pancrazio, interrompendo il flusso dei pensieri positivi di molti, è capitato anche a me di lambire.  

Dopo un attimo di silenzio, i volti dei presenti si rivolsero verso Maurizio, per interrogarlo mutamente, su quello che aveva detto il loro compagno e che non avevano capito.

Hai baciato qualcuno? Lo interrogò il Maestro.

No, ho lambito con uno schiaffo un bambino che aveva detto una parolaccia; dopo però ho dovuto lambire anche il padre che voleva lambire me. Alla fine, ci siamo lambiti tutti quanti e siamo andati in un bar a lambirci una bevanda, per fare pace.

Va bene, amici, concluse Maurizio con tono deciso, a significare che la magia del momento precedente era svanita e, chiudendo il quaderno che aveva danti (un registro di classe? Voleva mettere una nota?), la prossima volta, disse, parlerò di cozzare, sgraffignare e sbullonare. Così vediamo se Pancrazio vorrà farci dono di qualche delicatezza!

Caro mio, ribatté quegli, in vita mia non ho mai sbullonato nessuno, ho soltanto accarezzato, ogni tanto, la schiena di qualcuno, perché se lo meritava, ma ora lasciatemi perdere perché ho delle cose urgenti da sbrigare e non posso perdere altro tempo con voi e, alzandosi di scatto, buttò un rapido sguardo sulle teste degli assorti astanti, che non si mossero di una virgola. Solo un attimo di sospensione, dopo di che, imboccò decisamente la via per andar fuori.

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