IL MARE

 

                                                                            

Per me fanciullo con gli occhi pieni di meraviglie, il mare erano anche quei quattro pini stanchi di lottare sulla riva contro elementi avversi, il vento i lampi, il tuono, gli scrosci di pioggia, arsi dal sole, bruciati dalla salsedine, con le cime contorte e i rami protesi come braccia, per abbrancare, o per difendersi. Pini marittimi, abituati all’ululato della tempesta, alle sferzate di acqua salmastra polverizzata ed al mugghiare dei marosi che si avventavano a terra, come enormi masse in movimento.

Mio fratello ed io, nella nostra infantile incoscienza, staccavamo tratti di corteccia dai tronchi martoriati, per farne barchette che, munite di alberi di fortuna e vele fatte di foglie, lasciavamo andare sulla superficie del mare, alla deriva, incontro al loro destino, come messaggi segreti chiusi in bottiglia.  

Certo, quando il mare era calmo e sorrideva consenziente ai nostri giochi innocenti.

La magia del mare, a quel tempo, era data anche dall’orto con molti alberi da frutta e le capanne di uva, la vasca per lavare la biancheria, con l’acqua del pozzo, che erano dietro la modesta casa in affitto per l’estate e dal Wc esterno, che ti costringeva, di notte ad uscire nel buio per fare pipì.

E le dune formate dai vortici del vento, gli sterpi, la sabbia fin dentro il letto e il cuore in tumulto per ogni cosa fuori dell’ordinario, il silenzio della campagna nelle notti di luna piena ed il fischio del treno che sembrava non finire mai.

Oggi queste cose non le trovo più e forte è il mio rammarico. Anche se del mare ho scoperto molte altre cose che me lo rendono ancora più gradito.

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