LA VITA COME IL MARE?

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Anteprima

                                                                         

a)Bella immagine, io sento che sul

tardi della vita sono come il veliero da te postato, che naviga con tanto carico nella stiva e segni sulla struttura di tutte le vicende passate e di ciò che da queste credo di aver imparato. Forse è così per tutti

 

b)Nel senso che sfidi il mare in tempesta o che sei sballottato dal mare in tempesta?

 

ringraziamo il cielo che possiamo ancora ridere, o solo sorridere.

 

a)In emtrambi i casi da te indicati, come certamente saprai il mare è il mare e comunque lo navighi è sempre una sfida con lui e con te stesso, per superare i tuoi limiti; la vita è come il mare, una continua sfida inarrestabile con tutto cio che ti accade o ti causi, circostanze che ti impongono di superare i limiti interiori da cui ti senti ristretto, al fine di conseguire quel benessere che ti fa apprezzare le gioie dell"esser vivo su questo pianeta e in questa umanità.

 

b)Vento nelle vele, spezie pregiate nella stiva e la linea di galleggiamento dello scafo al di sotto delle incrostazioni marine, che emergono allo scoperto e questo è segno che la zavorra è stata eliminata con l'ultima tempesta. Buona navigazione.

 

È proprio grazie al tuo post con il veliero ed al nostro breve dialogo che mi hai suscitato sto pensiero che sto diffondendo tra alcuni miei contatti che mostrano apprezzamento. 

Chissà se avranno qualcosa da ridire quei due del Grand'Italia. 

 

Il mare e la vita.

Sul tardi della vita io sento di essere come un veliero che naviga con tanto carico nella stiva e segni sulla struttura di tutte le vicende passate e di ciò che da queste credo di aver imparato. Forse è così per tutti, si sfida il mare in tempesta e si viene sballottati dal mare in tempesta. Il mare è il mare e comunque lo navighi è sempre una sfida con lui e con te stesso, per superare i tuoi limiti; la vita è come il mare, una continua sfida inarrestabile con tutto ciò che ci accade o ci causiamo, circostanze che ci impongono di superare i limiti interiori da cui ci sentiamo ristretti, al fine di conseguire quel benessere che ci fa apprezzare le gioie dell'essere vivi su questo pianeta e in questa umanità.

 

Lettera ad uno sconosciuto:                                                                                  

Ti ringrazio delle tue assidue provocazioni (rifletti su questo aggettivo, che a me piace tanto), che mi sono veramente utili, talvolta anche nel senso di provocare in me una reazione uguale e contraria, come deve essere in ogni corretto rapporto dialettico.

Per stare all’ultima, relativa allo scambio di battute originate dalla immagine del veliero, da me condivisa, e più particolarmente alla chiosa che tu hai apposto, con le tue considerazioni sulla vita e il mare, ti dico subito che trovo la similitudine mare/vita bella ed affascinante, ma un po’ fasulla, perché, che sappiamo noi veramente del mare? Siamo rivieraschi e non abbiamo mai affrontato tempeste oceaniche, per cui mi sembra giusto definire tale metafora (ma che metà fora, era tutto dentro, mi sembra di udire la voce irridente di Pancrazio) di tipo scolastico, uno stereotipo, nel senso di nozione non acquisita in seguito ad un’esperienza diretta ma solo per sentito dire. 

Così è anche, a mio giudizio, la tiritera sui limiti dai quali ci sentiremmo ristretti, da superare per il conseguimento di che cosa? E quali sarebbero questi vincoli? Penso che la retorica abbia preso la mano sullo spirito di chi scrive e gli abbia suggerito questa frase, che è di grande effetto, ma vuota di contenuto reale.

Al limite, potrebbe essere più realistico, correndo anche qui il rischio di scivolare nello stereotipo, dire che nella tempesta, ognuno ritrova se stesso, rientra nei propri limiti, dai quali, forse, si era allontanato, per una forma di egotismo, che è sempre presente in noi. Forse è realistico pensare che nei momenti difficili della vita, prendiamo coscienza di quello che siamo veramente, del nostro valore e delle nostre debolezze e ci accettiamo così come siamo e qui forse potremmo anche trovare il benessere tanto sperato.    

 Dici anche di sentirti come un veliero che naviga con un carico nella stiva molto pesante ed ha sullo scafo le incrostazioni marine, che parlano di passate intemperie. Il carico dovrebbe essere quello delle acquisizioni fatte durante la navigazione nel mare della vita e, quindi, non dovrebbe essere molto pesante, se è vero che durante le tempeste, tutto ciò che non è indispensabile viene buttato fuori bordo, come zavorra e rimane solo l’essenziale, che è il sale della vita, e sa di salsedine, per restare alla metafora marittima. 

Ti confesso, inoltre, di non sentirmi, in questa fase della mia vita, particolarmente attratto dalle tematiche sul senso della vita e tutto questo almanaccare, spremersi le meningi, nel trovare risposte a quesiti più grandi di noi è per me un esercizio vano ed inutile. Di passaggio, osservo che ‘almanaccare’ è un verbo che ci viene dall’arabo “Al Manakh” che è l’almanacco, il calendario, arricchito con notizie astronomiche, agrarie ed altro, un po’ come il nostro ‘Frate Indovino’, per cui almanaccare si può intendere come un ricercare affannoso, con la testa tra le nuvole, anzi tra gli astri.

Trovo più soddisfacente ‘discettare’ sulle cose semplici, per trarne un utile in termini di comprensione (a proposito, ‘discettare’ viene dal latino ‘disceptare’, discorrere, disputare, ma il senso originario era dato da “dis + captare”, che significava “cercare di prendere”, quindi il senso è quello di esaminare dettagliatamente un oggetto dato, per cercare di ‘cogliere’ qualcosa che è in esso).

Mi piace disquisire, nel senso dell’originario ‘disquirere’ latino che significa ‘investigare’, per poi meravigliarmi di fronte alle scoperte minime, constatare che, alcune volte, oltre ciò che riteniamo scontato, si nasconde un significato nascosto, che illumina di nuova luce l’oggetto della scoperta. Non parlo solo di parole, ma di fatti, comportamenti, ogni fenomeno (nel senso proprio di “ciò che appare”), possa cadere sotto i nostri occhi.

“Frugare” nel mondo delle cose piccole e leggere, se possibile anche divertenti. Ecco un altro termine tutt’altro che innocuo: viene dal latino “furicare-furare”, che significa “rubare” – da “fur”, ladro, che adombra un cercare frettolosamente, nel tentativo di portar via la refurtiva prima di venire scoperto; (anche qui c’è un prendere). Provo gioia (sarebbe troppo parlare di felicità) nell’impegno quotidiano a perseguire sentieri solitari, per giungere a qualcosa che ancora non so bene cosa sia. Ma qui è il senso, secondo me, della nostra vita, in questo affaccendarci senza ritorni, per il solo piacere di esistere.

Comunque, anche in questo mondo, come ho detto del piccolo e futile, bisogna stare attenti a non cadere nello stesso errore denunciato per il mondo dei grandi quesiti: dire, per esempio che la nostra vita è come un filo d’erba sul prato, che si piega alle tempeste, risorge se calpestato e ondeggia ad ogni soffio di vento, verdeggia, ingiallisce e muore, sarebbe altrettanto banale e stereotipato dell’altro.   

Perciò, ti prego, continua a mandarmi segnali contrastanti, che come vedi suscitano in me reazioni positive, perché tra le cose che più apprezzo, sul tardo della vita, come tu dici, (ma non sei tu ad esserci), con una “così tanto piccola vigilia dei nostri sensi, ch’è del rimanente” (Inferno, Canto V), colloco proprio il mantenimento di questo rapporto di scambio di idee e di pensieri che si è creato tra un numero limitato di persone, un piccolo cenacolo tra sedicenti e sepensanti (lasciamelo dire) “illuminati”.

(Illuminati? Da che?, chiederebbe, ombroso, Pancrazio,  tutt’al più da una candela! guarda un po’, ‘st’ illusi, fanatici! Ah, se vi fosse Maurizio, cosa non farebbe per far cessare tutto questo crà-crà di ranocchie!). 

 

    Lucio Di Eugenio
    Le tue "dissertazioni" nulla hanno da invidiare ad un dizionario enciclopedico. Però ti è mancato questo termine in questo tuo dissertare.

    Bruno Aielli
    Dissertare viene dal latino "dis" che indica divisione e "serere", che vuol dire "intrecciare", quindi significa letteralmente sciogliere dall'intreccio, districare. Presuppone una conoscenza approfondita dell'argomento in discussione e si esprime con un linguaggio dotto, di alto livello, dottorale, in genere in una conferenza.


  • Bruno Aielli
    Capisci bene che non è quello che piace a me. Io sono per le cose leggere, come ho detto e mi accontento dell'approssimazione, lascio la dissertazione agli altri, non ignorando che questa parola, alcune volte, viene usata anche in senso ironico, per indicare uno sproloquio fatto da persona non preparata.


  • Bruno Aielli
    Cmq, grazie per la tua considerazione.












 

Commenti