DOMENICA DELLE PALME II

 

                                                                  I

Quando aveva parlato con i suoi amici del Circolo, a proposito del Comitato che si era costituito al paese di sua moglie, per i festeggiamenti pasquali, Pancrazio non era stato del tutto onesto; aveva per esempio taciuto sul fatto che quel sedicente Comitato, composto dal parroco, la sua perpetua, due pinzochere e un sacrestano in pensione, aveva tra l’altro deliberato di fare una processione per emulare l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, che, come si sa, avvenne a dorso di un asinello, tra due ali di folla che lo acclamavano Maestro e che, per fare ciò, il parroco si era rivolto di nuovo a Pancrazio, pregandolo di concedere graziosamente in prestito  alla comunità l’asino che aveva il contadino che coltivava la proprietà della consorte.

Ma la cosa più rilevante su cui pure il desso aveva tenuto all’oscuro i suoi ospiti, era che egli si era impegnato a svolgere nella processione il ruolo del grande sacerdote, mentre, da parte dei suoi accoliti, eccezionalmente ammessi a parteciparvi, ancorché non credenti, si richiedeva di indossare abiti da penitenti e seguire la processione, autoflagellandosi con un gatto a nove code, a sconto dei peccati commessi.

Quando gli amici lo seppero, superato un momento di comprensibile perplessità, prevalse in loro una vena di euforico entusiasmo per la inusuale, nuova esperienza da fare, pensando che la mascherata, alla fine potesse riuscire divertente e convinti che la loro esibizione non avrebbe comunque avuto alcuna risonanza all’esterno, data la esigua compagine entro la quale si sarebbe svolta e quindi non avrebbe potuto arrecar loro danno alcuno.

Il giorno dopo, pertanto, stavano febbrilmente lavorando, nella cantina della casa della moglie di Pancrazio, per preparare i ramoscelli di ulivo, (che poi, tanto piccoli non erano, perché, dopo la benedizione del parroco e la distribuzione alla folla, gli stessi avrebbero dovuto essere agitanti dai partecipanti alla rappresentazione, a mo’ proprio di foglie di palma, come avvenne per Gesù), mentre Maurizio si dedicava alacremente alla compilazione dei biglietti e Pancrazio metteva a punto i sacchi di iuta che avrebbero dovuto servire come abiti dei penitenti. 

Agli ignari abitanti del paese, convocati in piazza, dal parroco per assistere alla prova della funzione dell’arrivo di Gesù a Gerusalemme, che si sarebbe dovuta svolgere la mattina di domenica delle Palme, alle prime ore, si presentò il seguente spettacolo, rimasto negli annali della storia di Colleminuccio e della Parrocchia di Don Alfonso.

Dallo sbocco della via maestra che saliva dalla statale fin dentro il paese, la folla asserragliata tutt’intorno alla piazza, vide avanzare, a passo cadenzato, Pancrazio, in veste da sacerdote, che portava alla cavezza il suo asino, con in groppa, Sebastiano, reso irriconoscibile dalla barba posticcia, a due punte e dall’ampio lenzuolo bianco che lo avvolgeva tutto, nonché da un’incongrua corona di fiori che gli pendeva dalla testa, il quale avrebbe dovuto impersonare uno strano Gesù, aggrappato al collo dell’animale, per paura di cadere, seguiti da una processione di gente osannante e preceduti da quattro volontari, che, usando i rami di ulivo come scope, pulivano la strada davanti al gruppo avanzante, cospargendola di petali di fiori.

Nella turba che urlava entusiasta, per l’arrivo del Salvatore, quasi scomparivano Oreste, Silvana, Giulia ed Evelina, vestiti con i sacchi da penitenti, che agitavano delle verghe, senza colpirsi minimamente e Maurizio, in veste da Dottore del Sinedrio, con gli occhiali, il quale goffamente benediceva la folla.

Giunta davanti alla Chiesa, la processione si fermò e fu accolta da Don Alfonso, che attendeva sulla soglia e, postosi a capo della spedizione, avanzò con gli altri verso l’interno del luogo sacro.

Ad un tratto si vide Pancrazio che, lasciato l’asino nelle mani di un contadino, si sollevò con ambo le mani la tonaca e si mise a correre dietro ad un ragazzo, che gli aveva tirato in faccia un uovo ed era scappato all’interno della Chiesa.

Ne seguì uno scompiglio generale, gente che fuggiva da tutte le parti , Don Alfonso che urlava per farsi sentire, che imponeva la calma e il finto Gesù che, rimasto solo sull’asino, non visto, si tolse da quella scomoda posizione e, buttato via il mantello, si dileguò per una via secondaria.

Era più che probabile che, almeno per quell’anno, l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme, a Colleminuccio, non si sarebbe verificato. Ma l’evento ebbe comunque una grande risonanza, perché, per eccesso di zelo, il parroco aveva avuto l’idea di convocare il cronista di un giornale locale, il quale si premurò, il giorno dopo, di far trovare sui tavolinetti del bar dell’olmo, copie di un quotidiano fresco di stampa, che riportava diffusamente quanto avvenuto al paesello, con ampia documentazione fotografica.

Questo tale, disse Pancrazio, dopo aver esaminato attentamente la foto che lo ritraeva con la faccia imbrattata di uovo e la tonaca rialzata, nell’atto di correre, se la dovrà vedere con me, gli farò passare la Pasqua a letto, al disgraziato!

 

    

 

Commenti