TUGURIO

 

                                                                                

Qualche giorno dopo il discorso sulla spelonca coniugata con la specola, Sebastiano, che non era rimasto indifferente al racconto che ne aveva fatto Maurizio, approfittando di un momento di calma al bar, aveva detto a Silvana di rimanere al bancone, mentre lui, raggiunti gli altri sul retro, iniziò un racconto tutto suo, ispirato a quanto aveva sentito nella precedente occasione.

Vi voglio raccontare, iniziò a dire, la storia del mio primo amore…si fermò imbarazzato, pensando che forse nessuno di loro spasimava per conoscere la sua storia, ma, dal bancone, sentì Silvana che abbandonava precipitosamente il suo posto di lavoro, entrando nello sgabuzzino che faceva da sala delle riunioni, dicendo:

Eh, no, eh! Questa la voglio sentire anche io! Tanto di là non c’è nessuno…

Va bene, disse accondiscendente Sebastiano, ma appena arriva qualcuno, tu torni di là, capito? E riprese:

Si chiamava Elisa ed era molto bella. Veniva da un paesino del sud ed era rimasta orfana a sedici anni e non aveva un posto dove andare a vivere. La presi con me, come apprendista, nel bar che gestivo allora, era il primo bar che ero riuscito ad aprire, in periferia, un locale molto piccolo e sfigato. Però aveva un lucernario dal quale veniva luce a sufficienza ed era abbastanza carino. Le preparai un letto nello spogliatoio e la invitai a trasferirsi là con le sue poche cose.

Lei mi fu molto riconoscente e dopo poco tempo, diventammo amanti. Quando la conobbi abitava in un tugurio…

Cos’è un tugurio? Chiese Pancrazio.

Una bicocca, rispose subito Maurizio. La parola tugurio viene dal latino “tugurium” di origine incerta, serve per indicare un luogo squallido.

Non c’è cosa che uno dica, intervenne Oreste in tono sapienziale, che loro non abbiano già detto, questi latini!

Maurizio, che non amava troppo queste interferenze, lasciando trapelare una vena di impazienza, riprese:   

Si tratta, dunque, come ho detto, di una bicocca. 

Pancrazio assunse un atteggiamento compunto e, con finta ingenuità, proferì queste parole: Maurizio – il tono era accorato - non è da te! Un po’ di rispetto per i sentimenti altrui: la ragazza non doveva poi essere così infelice.

Infelice, lo era, proruppe Sebastiano in tono risentito, ma non nel senso che pensi tu, e lo fulminò con uno sguardo.

In realtà, bicocca è un termine nato in campo militaresco, spiegò Maurizio, per indicare un posto fortificato, una specie di avamposto allestito alla buona, necessariamente privo di generi di confort, e presto trascurato; col tempo, trasferito in ambito civile, è passato ad indicare un’abitazione scomoda e priva di un adeguato arredamento.

Per cui, sarebbe stato meglio dire, una stamberga, precisò.

Il nonno di Giulia, aveva una stamberga, si insinuò inopportunamente Pancrazio, lui era reduce dalla prima guerra mondiale ed aveva perso una gamba.

Allora avrà avuto una stampella, non una stamberga, corresse il maestro. Ma comunque non c’entra con quello che stiamo dicendo…

Quanto sei pignolo! Si lamentò l’allievo e cos’è una stamberga?

Una catapecchia, fu la risposta, questa volta di Silvana, che era impaziente di sentire il resto della storia e voleva far cessare quell’inutile battibecco.

Ecco una parola interessante, continuò invece Maurizio, “catapecchia” viene da lontano ed ha una storia complessa: dal sanscrito “Kat-Pex”, (dove kata=sotto e pex, palo), significa “palo conficcato per terra; probabilmente, in origine indicava una capanna fissata su palafitte, poi, col tempo, attraverso diversi passaggi, è arrivata a designare una abitazione in pessime condizioni. Da notare che dal termine “palus” latino, è tratto anche il senso di legare, che stranamente è alla base della parola Pace, in cui ricorrono l’idea del palo conficcato per terra, del cappio che lega e di un accordo finale, che è il punto d’incontro di due volontà che convengono sull’oggetto della controversia, appianando la conflittualità che è all’origine della lite e della guerra; quella pace mai tanto ambita come in questo momento storico che stiamo vivendo, concluse il maestro.   

‘Mbè, va bene, ma, insomma, possiamo andare avanti? Si lamentò Silvana.

Ma certo, interferì Oreste, ma intanto ringraziamo Maurizio di questa bella disquisizione che ci ha fatto.

Grazie, Maurì che ci hai fatto l’inquisizione, disse beffardamente Pancrazio, ora sentiamo Sebastiano che faceva l’amore con una minorenne.

Non è vero, ribatté risentito il narrante; Elisa aveva 18 anni, quando è venuta da me ed era tutt’altro che ingenua; dopo la morte dei genitori, che lei non rimpiangeva affatto, avvenuta per un incidente stradale, era andata a vivere in casa di una sua nonna, che le voleva molto bene e dove aveva trovato ristoro dalle sofferenze sofferte. Mi confessò un giorno di essere stata stuprata dal padre e la madre aveva attribuito a lei la colpa di quanto accaduto, per il fatto che girava per casa indossando un gonnellino troppo corto – seminuda, diceva – mentre non era vero, ma purtroppo, due anni dopo anche la nonna era morta e lei era rimasta sola.

Fino a quando ha incontrato il buon samaritano, soffiò Pancrazio.

Non lo crederai, ribatté questi, ma Elisa era un fiore nato in un letamaio, ma io l’ho trattata come meglio non si poteva: mi diceva che dal suo letto, nello sgabuzzino, tenendo la porta socchiusa, poteva vedere le stelle attraverso il lucernario ed era felice.

Abbiamo passato due anni di un amore dolce ed appassionato; Elisa mi ha dato molto; gli occhi di Silvana brillavano come due stelle, mentre l’amico raccontava. Dopo un poco la convinsi a venire ad abitare a casa mia, che allora era in uno “slum”. Scusate, questa volta, l’origine della parola la dico il: quando ero molto giovane, ero stato per qualche mese a Londra, dove avevo lavorato come cameriere in un Pub e lì ho imparato la lingua inglese; “slum”, in quella lingua, significa quartiere di periferia, molto povero, densamente popolato da persone di varie etnie, con case fatiscenti affastellate una sull’altra; la mia casa era un buco, scomodo e male attrezzato, ma con l’amore che ci univa, divenne un nido romantico e parecchio accogliente.

E’ stato il periodo più bello della mia vita. Abbiamo trascorso due stagioni, un inverno ed una primavera, come in un sogno incantevole, io lavoravo di notte ed il giorno facevamo l’amore; per mangiare ci bastava  quel che riuscivo a racimolare dal Pub, alla chiusura, di panini e sandwich invenduti.  Purtroppo in estate, ebbi la malaugurata idea di portarla in vacanza alle Tremiti, in un villaggio turistico del TCI, dove restammo due settimane ed io spesi tutti i soldi che avevo guadagnato in un anno di lavoro. Alla fine della vacanza, quando le chiesi di prepararsi per il viaggio di ritorno, lei mi disse che non sarebbe ripartita. Aveva conosciuto nel frattempo un ragazzo di origine libica, che faceva lo sguattero in un locale dell’isola di San Domino e si era innamorata di lui, cosa per cui fui costretto a riprendere il traghetto per Termoli da solo e senza un quattrino in tasca. 

Ci misi un anno a rimettermi dalla scoppola, ma alla fine ne uscii rafforzato.

Gli occhi di Silvana si erano riempiti di lagrime; lei si soffiava il naso con un fazzoletto tutto sgualcito, per nascondere la sua commozione.

Più tardi ho saputo, seguitò Sebastiano, che il padre di Elisa era originario della Libia. Un giorno è entrata per caso una donna che, parlando occasionalmente al bar con una sua amica, ha detto di essere di Mazara del Vallo, il paese dal quale proveniva Elisa ed io allora le ho chiesto se avesse mai conosciuto una ragazza con quel nome. La donna mi rispose che, non solo l’aveva conosciuta, ma conosceva la sua storia tragica a partire da quando era andata ad abitare a casa della nonna. La ragazza era allora molto depressa e le aveva raccontato che, dopo la morte dei genitori, la sua vita era diventata un inferno, perché lei era molto affezionata ad essi, mentre non sopportava la nonna che la costringeva a fare cose che lei non voleva fare assolutamente.

Allora, non era proprio una santa, commentò amaramente Pancrazio, aveva una lingua biforcuta e, per tutto il tempo che è stata con te, non ha fatto altro che prenderti in giro… nel ragazzo libico delle Tremiti, deve aver ritrovato la sua tribù.

Io non credo che sia così, affermò convinto Sebastiano, per conoscere l’animo umano bisogna avere grande disponibilità e comprensione. Lei, con me, è stata assolutamente sincera, la sua vita non è stata facile ed ha sofferto molto; chi sono io per giudicare il suo comportamento e decidere quale fosse la sua verità?

Sì, però, ha approfittato di te ed alla prima occasione, ti ha lasciato… 

Pace all’anima sua, disse Sebastiano, contrito, la stessa donna alla fine mi disse che Elisa era morta in circostanze misteriose e non si conosceva il luogo della sua sepoltura.

Il lamento, lungo, prolungato del pianto di Silvana, accompagnò per tutta la strada Pancrazio, mentre stava facendo tristemente ritorno a casa.  

 

 

 

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