ERRARE
Maurizio era un po’ più triste del solito e sembrava immerso in una sua nube di inconsistenza. Pancrazio lo guardava accorato e avrebbe voluto dirgli qualcosa di bello per tirarlo un po’ su.
Errare Humanum… accennò il Maestro in tono mesto e l’allievo colse l’occasione per aprir bocca con l‘intento di sollevarlo, dicendo: Io una volta ho errato camminando. E lo guardò negli occhi, in cerca di un segno di consenso.
Maurizio, invece, lo guardava senza vederlo, il suo sguardo era oltre.
Mi lasci finire la frase, accennò per quanto possibile, garbato, o non sei proprio per i preamboli? La voce lievemente alterata, da una stizza repressa.
Non ho avuto nessun preambolo, ma è che ho sbagliato strada, ritenne di insistere quello. Dovevo andare a Civitella e mi sono ritrovato a Colonnella, si giustificò.
Forse per assonanza, sibilò una voce dal fondo, insofferente di quella pantomima tra i due.
Nessuno ci fece assonanza, corrispose Pancrazio, cercando di individuare con gli occhi chi avesse parlato; in paese non c’era mica la banda ad aspettarci…
Pensi che la cosa debba essere discussa in pubblico? Maurizio dava segni di impazienza.
No, volevo dire che alla bonifica, dovevo girare a destra e invece ho girato a sinistra. Mia moglie…
Insomma, ci vuoi raccontare pure del gatto che vi ha attraversato la strada?
Quello, poi…l’ha scampata bella! Ma tu come fai a saperlo?
Insomma, basta! Tagliò corto Maurizio. Stavo dicendo “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”…
Ma io ho sbagliato una sola volta, insistette Pancrazio che sembrava offeso. Alla seconda ero in macchina ed ho messo il navigatore che mi ha portato dritto sotto la Fortezza. Era sicuro di quanto affermato.
…per introdurre il discorso sulla doppia valenza del verbo errare, riuscì a portare a termine la frase Maurizio, ormai spazientito.
Vuoi dire che se io sapevo di questa valenza, non sbagliavo?
Ora è troppo! Esclamò Maurizio. La seduta è tolta.
Questo lo può decidere solo Sebastiano che è il padrone di tutte le sedie, adesso chiediamo a lui se proprio dobbiamo andare via e perché, non vi sembra, amici, fece alzandosi e rivolgendosi ai presenti.
Per me potete restare quanto vi pare, rispose l’interpellato, tanto io prima di mezzanotte non chiudo. Ben lo sa la povera Silvana, che l’altra sera ha trovato chiuso a casa sua ad è dovuta venire a dormire a casa mia. Fortuna che la mia compagna quella notte non c’era…
Fortuna per chi? Insinuò una voce, la solita, maliziosa
Questo è un convegno di pazzi, proruppe Maurizio, ma in tono meno cupo, cominciava a prenderci gusto a quel continuo rinvio, quindi, conciliante, chiese: che dite, allora, volete ascoltare, o no?
Sììì!!! Fu la risposta unanime; tutti decisi a rimanere ed ascoltare il discorso di Maurizio, il quale, riconfortato da quel segno di fiducia, riprese:
Tu, Pancrazio, poc’anzi hai detto: ho errato camminando, usando, senza saperlo, il verbo errare nei suoi due significati principali, che sono: il 1°, “vagare”, gironzolare da una parte all’altra, senza una meta fissa; il 2°, “sbagliare”, magicamente fusi da te nel terzo senso specifico di “sbagliare strada”.
Ma io proprio questo volevo dire, affermò Pancrazio con voce melliflua, che si trattava di un errare di sbaglio, ecco!
Comunque, continuò Maurizio, da questo verbo, errare, derivano alcuni aggettivi con significati leggermente diversi, come erratico, errante, erroneo, errabondo ed aberrante. Tutti hanno in comune il senso di devianza, l’allontanarsi dalla retta via e, quindi, di sbagliare. Ma tutti con qualcosa di particolare nel significato specifico.
Pur senza addentrarci nel merito di ogni sfumatura, perché noi non siamo specialisti, ma semplici osservatori curiosi, cerchiamo di coglierne la ricchezza nella varietà e nell’abbondanza di esse, magari con esempi.
Erratico sembra il più ostico a farsi comprendere, perché al senso del vagolare aggiunge un significato di moto irregolare, fuori della norma e questo concetto si applica a molte discipline alle quali l’aggettivo è stato accostato, ogni volta con un senso specifico. Così abbiamo piante erratiche che sono quelle che attecchiscono anche fuori del loro contesto originario; massi erratici, che sono trasportati dai ghiacciai lontano dai loro sito; dolori erratici, diffusi per il corpo, non localizzabili con precisione e così via.
Errante, al contrario, si offre alla nostra comprensione, perché più piano e a senso unico, quello di chi va peregrinando senza meta. Celebre nel passato la leggenda dell’ebreo errante per il pianeta, senza trovare rifugio e pace, dopo la diaspora, come condanna per aver commesso un deicidio, crocifiggendo Gesù, teoria ormai superata dal tempo.
Mia moglie, intervenne inopinatamente Pancrazio, in cerca sempre di un legame fra teoria e pratica di vita vissuta, aveva una spola a Colleminuccio, ma non la prestava mai a nessuno, proprio per evitare che facesse il giro del mondo e si perdesse.
Dopo un breve silenzio meditabondo, Maurizio riprese a parlare.
Erroneo introduce un senso di probabilità, come di cosa che può essere sbagliata, mentre errabondo è l’equivalente di vagabondo, quest’ultimo con una connotazione negativa, di soggetto poco assicurabile.
Infine, abbiamo aberrante, che contiene una forte carica, come di un errore che supera ogni altro.
Allora anche “eretico”, viene da errare? Chiese Silvana, che aveva seguito la discussione con attenzione.
Sembra, ma non è così. Errore viene dal greco “erein” e vuol dire “andare vagando”, mentre eresia deriva dal greco “aireo” che vuol dire “scegliere”. Entrambi hanno a che fare con un allontanamento dalla via maestra, ma mentre nel primo caso, l’allontanamento è casuale, nel secondo è volontario, anzi voluto.
Eretico è una parola che evoca sinistri bagliori di roghi e odori sulfurei, per colpa di un uso spregevole che di essa si è fatto nei tempi oscuri della sedicente santa inquisizione, nel punto di massima frattura fra fede e ragione.
Al di fuori dell’ambito religioso, in tutti i campi in cui la parola ha avuto modo di affermarsi, l’arte, la letteratura, la politica, la scienza, la forza di chi ha avuto il coraggio di uscire fuori dai ranghi del sentire comune, per seguire un proprio itinerario, non battuto da altri, ha costituito un valore aggiunto.
La scelta, questa la parola fondamentale, che, fra l’altro, è stato rilevato, è l’unica nella nostra lingua a non avere un contrario, una parola corrispondente di segno contrario.
Mentre il vagolare di chi è in errore è fine a se stesso e si tinge spesso di colori negativi, il divergere
dell’eretico, è luminoso ed è indice di libertà, quella libertà che è alla base di ogni libertà, quella di “scegliere”, per esempio da che parte stare, anche con pochi compagni, o addirittura con nessuno:
i corvi volano in gruppo, disse pomposamente Pancrazio, poi si guardò intorno sospettoso e proseguì un po’ meno convinto: l’aquila vola da sola! La frase che aveva sentito a tarda notte in TV pronunciata da Burt Lancaster (1) e che gli era piaciuta; ma che non l‘avessero sentita anche altri, tra i presenti?
(1) dal film di Luchino Visconti, Gruppo di Famiglia in un Interno, 1974.
- Wolters Di GiacintoBuona giornata Bruno e ancora grazie.
- Rispondi
Commenti
Posta un commento