BANALE

 

 

In genere siamo portati a ritenere che tutto ciò che è banale non ci appartenga e questo in parte è vero, in quanto banale vuol dire comune a tutti (1), mentre noi sappiamo di avere qualcosa che è tutta nostra ed è la nostra originalità.

Infatti è noto che ogni individuo è unico: siamo tutti simili, ma nessuno è uguale ad un altro. Ciò è tanto più vero, se, alle differenze riscontrabili tra individuo ed individuo nei tratti somatici, aggiungiamo quelle ben più rimarchevoli che attengono alla interiorità di ciascuno.

Banale potrà essere quello che facciamo, o che pensiamo, una vita piatta, un pensiero di inconsistente spessore, ma nessuno conosce le potenzialità che sono dentro di noi che ci rendono individui unici.

Questo è il nostro vanto: il giudizio altrui, poco conta, se sappiamo che dentro di noi si nasconde un altro io, capace di fare ciò che altri non fanno, di sentire quel che altri non sono capaci di sentire.

Per questo banale, in quanto scontato, usuale, di poco conto, insignificante, porta con sé un sentore di discredito, un senso dispregiativo, che potrebbe anche non avere, perché in ultima analisi, banale, in quanto comune, è anche normale.

Se buttiamo via la maschera, magari non in questi giorni di Carnevale (semel in anno licet insanire), ma subito dopo, con Le Ceneri (memento homo, ecc.) e guardiamo bene, ci accorgiamo che noi siamo circondati dal banale, siamo normalmente immersi nel banale, siamo noi stessi assolutamente banali.

Le citazioni in latino, sono banali. Appunto.

E, quindi, evviva la banalità che ci rende la vita facile da sopportare, che ci consola con la sua aura di mediocrità, che non è una condanna (i latini parlavano di “aurea mediocritas”, con Orazio che esaltava il “giusto mezzo”), ma una risorsa, sentiamoci per quello che siamo, non sopravvalutiamoci, pur senza sminuirci, nessuno è perfetto, nessuno è superiore agli altri.

Siamo ombre, ha scritto qualcuno, di noi l’Universo non si cura.

 

(11)   Dal francese “banal”, “di pertinenza del Signore del Villaggio”, poi esteso all’uso comune, di tutti gli abitanti di esso.


 

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