SANGUE

 

 

Racconto a quattro mani, da un’idea di Stefano Aielli, testo di Stefano e Bruno

                                                                               SANGUE          

Era uno scienziato, un biologo, con la passione della musica, ha passato la sua vita tra esami autoptici e di laboratorio e concerti di musica classica, ha partecipato, insieme ad un gruppo di studiosi, ad importanti scoperte nel campo della virologia e contemporaneamente ha fatto parte di un quartetto di musica da camera, in qualità di flautista, conosce bene il sangue, la sostanza che scorre nel nostro corpo e ci dà la vita, eppure non ha mai superato il senso di avversione che la vista del sangue gli dà, tutte le volte che lo vede scorrere da una vena aperta, o sprecato per terra, o sparso sul corpo o sul volto delle persone, come non ha vinto la trepidazione che lo prendeva nell’imminenza di un concerto.

La storia che segue è una banale storia di famiglia, fatta di amore, follia ed intrisa di sangue, dove l’amore si è tramutato in dolore e la follia ha generato il sangue.

Lo stato di salute attuale di Mario, questo il suo nome, non gli consente di esercitare appieno le sue facoltà intellettive, a causa di un brutto incidente, che ha stravolto la sua vita e lo ridotto ad una larva di uomo.

Era nato da genitori contadini, la madre era deceduta per complicanze del parto, alla sua nascita, suo padre lo aveva allevato insieme al fratello maggiore e alla sorella primogenita, nata col forcipe e per questo cresciuta un po’ deforme e ritardata mentale, ma piena di buona volontà ed affettività, nella casa colonica con la stalla e l’annesso terreno, da lui coltivato.

I compiti di natura domestica furono ben presto affidati alla sorella, alla quale fu anche assegnata la cura e la custodia, del neonato, subito divenuto orfano di madre, come del resto la sorella e il fratello.

Per le ristrettezze economiche in cui la famiglia si è sempre trovata, il fratello, appena giovinetto fu costretto a lasciare gli studi ed avviato dal padre al lavoro del campo, mentre a Mario fu riservato un diverso destino: da studente, aveva dato prova di possedere capacità superiori alla norma, cosa per cui un insegnante che aveva preso a cuore la sua condizione, si era adoperato presso il padre affinché facesse in modo da fargli continuare gli studi superiori e poi anche l’Università, con sacrifici, certo, ma anche con l’aiuto di sussidi statali che egli riusciva a fargli avere.

Il rimorso ed il dolore provato per la tragedia che scoppiò improvvisa in quella famiglia, sono stati probabilmente la causa della sua malattia, come conto da pagare per quanto da lui dovuto alle persone che gli erano più vicine e che lui aveva lasciate sole, inconsapevolmente, dopo il suo ingresso in quella società di intellettuali, che era molto diversa dall’ambiente da cui proveniva.

Marasma è la parola per descrivere lo stato di confusione mentale in cui cadde, tra brucianti immagini e atroci rimorsi.

Lampi di memoria, sprazzi di vita e di sangue…

Non doveva finire così. Era convinto di portare la responsabilità di quanto accadde quel giorno, anche se non aveva alcuna colpa, tranne quella di non essersi accorto del baratro che si era aperto tra lui ed il resto della famiglia: voleva bene a suo fratello e si sentiva in debito nei confronti della sorella, per quello che aveva fatto per lui, accudendolo con dedizione, lei ancora bambina e già coi sintomi della sua menomazione ed aveva nei confronti di suo padre venerazione, rispetto e riconoscenza. Ma sentiva di non aver fatto abbastanza per mantenere con loro legami affettivi solidi e sinceri.

Frugando tra le carte, da lui conservate su quel che rimaneva della sua famiglia, ha ritrovato un documento, poco più che appunti sconnessi, presi, qualche tempo dopo la tragedia, e prima che cadesse nel vuoto della malattia, che rivelano lo stato di agitazione e confusione mentale nel quale cadde e dal quale cercava ora faticosamente di uscire per ricomporre un quadro verosimile di quello che era successo. 

Lesse e non credeva alle sue parole:

” Il mio orrore per il sangue deve avere radici profonde, forse addirittura ataviche, ancestrali, dal sangue versato da mia madre per mettermi al mondo, la sua morte per la mia vita.

Fino al sangue che iniettava gli occhi di mio fratello nella sua corsa folle verso il nulla solcando le zolle della campagna dietro casa.

O il primo sangue di mia sorella, giunto all’improvviso, di cui sentivo parlare con parole astruse e riferimenti infantili, da parte di mio padre, del tutto impreparato a quel compito, e invece così reale, ai miei occhi inconsapevoli, così rosso nella mia immaginazione. Tra malattia e naturalità, quel sangue sconvolgeva la mia mente, così inutile e così tremendo.

Ma da allora in poi, sempre più presente, il sangue.

Come il sangue che qualche tempo dopo scorreva dal ventre di mio padre nel fienile, mio fratello che lo guardava esterrefatto, quasi che la falce si fosse mossa da sola, di colpo animatasi.

Il liquido denso scorreva a fiotti, macchiando la tuta sporca di sterco dei maiali, ero sicuro di aver sentito il gorgogliare di quel flusso, che veniva a tratti, spruzzando in alto una fontana di schizzi intermittente e colpì anche in faccia l’uomo blu che aprì il fuoco sull’altra parte di me, mio fratello che impazzito scappò per le campagne, tanto conosciute e tanto vigliacche da nascondere adesso il sentiero e ritrovarsi proprio lì, davanti al fienile, con uomini bianchi sporchi di rosso sui camici e gli uomini blu che balzarono su di lui e lo bloccarono a terra, un ginocchio sul collo e un sacco di pugni che rapidamente gli gonfiarono la faccia, e il proiettile che lo centrò immancabilmente al centro della fronte, quando cercò di sottrarsi alle loro mani e fuggire, sangue che ancora fluttuò nell’aria e si mescolò al sangue sulla tuta sporca di sterco, lì a fianco…..sangue che non gorgogliava ma colava, come fosse un fango, e scorreva denso sulla terra. Mi ricordo ancora l’odore di quel miscuglio, fatto di sangue e polvere da sparo, amalgamati in un orrore senza fine.

 Mia sorella, sulla soglia della stalla, guardava impietrita dall’orrore, con occhi sbarrati, la scena che aveva davanti, senza riuscire a muovere un muscolo, né a pronunciare parole.”

Sangue, ancora sangue: lo sentiva scorrergli nelle vene e nelle arterie, quel giorno, quando cadde colto dal male, una sensazione che stranamente ricordava quando da bimbo doveva affrontare il saggio di musica e non poteva dormirci all’idea e al terrore della prova che lo attendeva, il pubblico, la vergogna, l’inutilità di dover fare ciò che per nessuno motivo avrebbe voluto fare. Ed ora, invece, lo sentiva scorrere sulle pareti della sua testa, quasi colasse e riempisse le circonvoluzioni della materia grigia, sangue vedeva il sangue mentre cercava di mettere a fuoco le facce stupite e stupide che quasi con un sorriso sardonico attendevano le prime note del suo flauto. Era arrivato il giorno tanto atteso che per giorni gli aveva inquietato i sonni e costretto verso ricordi di particolari conosciuti ma in qualche modo nuovi; una strana simmetria tra quel ricordo ed il pathos, le mani di suo padre che guardandolo gli diceva di andare, allora, al saggio, per incitarlo ad affrontare il pubblico, ora, di fronte al suo corpo martoriato, per chiedergli di non stare a guardare…forse di chiedere aiuto, pensò molti anni dopo, ma forse no, era un contadino, aveva allevato tante bestie che, come gli uomini, muoiono quando a recidersi è un’arteria e non una vena. Non occorreva nessun aiuto, un po' di quiete per morire in pace, che non si ha se ci si deve preoccupare di un figlio che ti guarda con occhi grandi e inconsapevoli tanto da non piangere, semplicemente intenti a guardare.

E quello sguardo incantato nel tempo gli restituì particolari esatti degli occhi lucidi, delle mani che divennero rosse ma di un rosso che in breve virò al marrone, il sangue quello sì degli occhi impazziti del ragazzo che correva per la campagna preso da una follia che lo trasfigurava in un essere demoniaco. Gli occhi attenti e le labbra che non si aprirono, i piccoli batteri scoperti che avrebbero da lì a poco aperto un nuovo campo di ricerca nella biologia e su cui aveva fatto chiarezza con i tanti anni passati tra laboratorio, casa, vino e pochi amici. Anzi a dir il vero nessuno. Solo no, non c’era mai stato, perché colleghi e studenti lo cercavano spesso e si imponevano piacevolmente alle sue serate solitarie; di donne, nulla, non era mai riuscito a fare pace col sangue, che adesso sentiva ormai arrivato al centro del suo cervello, il centro della sua volontà. Non avrebbe parlato non ne aveva più voglia. Si sentiva finalmente libero.

Riprese a fatica la lettura di quel documento, triste e terribile che ora prendeva il posto della sua vita:

“Mentre gli uomini bianchi mi giravano attorno ed altri con camici azzurri mi aprivano gli occhi e cercavano una risposta, io cercavo di ricordare tutti i dettagli per capire perché e come il proiettile penetrò nella vita di mio fratello, addirittura sono sicuro di averlo visto, sì proprio visto, il proiettile. Il sangue si è impossessato della mia vita, dei miei pensieri e della mia volontà. Ma perché abbiamo fatto tutto ciò? Ma perché se la vita e così breve e così fatua, che una falce o un proiettile te la porta via, perché perdiamo tutto il tempo a non pensare pensando ad altro, una vita passata in laboratorio?

Adesso è tardi gli uomini bianchi e i camici azzurri si impossessano del mio corpo e presto prenderanno il controllo dei miei pensieri. Perché tanto dolore nel si bemolle dell’Ave Maria, si poteva evitare, lasciando il nostro animo più leggero; da quando la penna si posò sul quel pentagramma il si bemolle si è impossessato della nostra tristezza ed alimentato la nostra angoscia….. Ma perché tanto sangue, che come una cascata infinita imbratta la vita sulla terra; uomini che uccidono uomini, uomini che uccidono animali, animali che uccidono animali e animali che uccidono uomini, un cerchio rosso infernale e inarrestabile?

Nel tubicino di destra scorre verso l’alto il liquido rosso, nell’altro arriva quello bianco, sono pronto a spegnere i miei pensieri, tra poco il sangue uscirà dalla mia vita, pensavo, e tutto sommato non riesco a non esserne felice”.

Che dire? Era completamente frastornato. A fine lettura, pensava: non doveva andare così. Ora era solo, non aveva più una professione, non era in grado di suonare il suo flauto, sua sorella, poverina era ricoverata in una casa di cura per malati psichiatrici ed era del tutto assente mentalmente, lui attendeva che il sipario si chiudesse, possibilmente in modo incruento, per trovare pace e riposo e, forse, rivedere i suoi cari, sotto qualsiasi forma, per riabbracciarli e chiedere perdono ed, infine, dimenticare tutto.   

 

 

  

 

 

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Stefano Aielli

 

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