PIETRO

 Racconto di Stefano AIELLI

Si guardava intorno per vedere che fosse tutto a posto, in alto in basso, dietro le sue spalle con attenzione a tutto. Dietro di lui non c’era nulla.

Mi avvicinai lentamente a quest’uomo dall’aria trasognata, con uno sguardo eterno. Mi guardava dritto seguendo ogni mio movimento. Il suo sguardo non manifestava curiosità nei miei confronti, ma una specie di fraternità, come se ci fossimo conosciuti da sempre.

Ero stupito dal non sentirmi a disagio in quella situazione nuova e lontana da qualsiasi altra vissuta nella mia vita, e la calma, piano piano si impossessava della mia mente.

L’uomo mi sorrise, io non ce la feci e rimasi lì impassibile a guardarlo come fosse un quadro o un arcobaleno.

Sei arrivato finalmente fratello, hai preso la strada più lunga, ma sei arrivato. Qui nessuno si perde, nessuno qui si può perdere. E’ tutto disegnato perché tutti arrivino alla porta, e si girò guardandosi dietro. Dietro le sue spalle non c’era nulla.

Stavo per ribattere quando mi sovrastò con lo sguardo e con un filo di voce mi disse “cosa ti porti dietro, come è andata?”. Mi guardai attorno, io effettivamente non portavo nulla, nulla in mano, nessun bagaglio, insomma ero nudo, nudo di tutto. Non feci in tempo a stupirmi della mia nudità perché di nuovo mi prese gli occhi con i suoi occhi. Ognuno di noi si porta dietro una targa, attaccata all’anima, ognuno sa cosa ha fatto e come ha vissuto. Cosa è scritto sulla tua targa, fratello?

Non capivo, la situazione diventava surreale, lo sguardo dell’uomo bianco si era fatto inquisitorio. Ma quale targa, forse ero in ospedale, nudo, nelle mani di medici ed infermieri, e quelli forse avevano la mia targa.

Non ti perdere, amico mio, sei arrivato, non devi fuggire, non puoi farlo. Sei qui con il tuo carico, adesso indietro non si torna. Ma non posso farti passare per la porta se prima non ti arriva la coscienza della tua anima.

Guardai ancora il nulla alle sue spalle, ma come se avessi respirato l’etere sentii una leggera euforia che pervase il mio spirito. “Cosa hai combinato, amico mio, cosa hai combinato? Se vuoi me lo dici, diversamente attraverserai quando sarai raggiunto dalla tua anima, e la calma ti sarà arrivata, il mio compito finisce qui.”

Questa frase mi rese di nuovo inquieto e l’uomo barbuto (solo allora mi accorsi che aveva la barba) se ne accorse e mi venne in aiuto. “Io la mia ragione l’ho trovata, ho fatto cose grandiose, ho scoperto molto, ma molto tempo prima di te e di quasi tutti quelli che arrivano qui ed erano cose a cui affidarsi, in cui credere. Ancora oggi sono rimasto in contatto, in qualche modo, con laggiù. Ero partito come un semplice soldato, inutile pedina nelle mani di altri che mi imponevano di fare cose che non era giusto fare. Ma è bastato guardare bene, scoprire la realtà, la realtà che per vederla bisogna saperla e volerla guardare. Mi sono affidato ed ho trovato il padre e chi trova il padre ha risolto l’enigma. Tu amico mio, il padre l’hai trovato?”. Il mio imbarazzo dovette essere visibile perché il vecchio alzò le mani al cielo come per dare una benedizione, un’esortazione al cielo perché io trovassi la mia coscienza, che trovassi la mia strada. Venni travolto dalle parole, un fiume di parole che uscirono dalla mia bocca, disperatamente. “Io non ho fatto nulla di male, a nessuno! A Nessuno! Io sono un uomo onesto, non ho mai rubato, non ho mai ucciso, non mi sono mai interessato dei fatti degli altri. Non ho mai creduto, a nulla, non in Dio, non nell’assenza di Dio, non ho semplicemente creduto a nulla. Esistere o non esistere questo è il problema, è soltanto un sogno, ti prego svegliami, fratello, svegliami!” L’anziano riprese a parlare con i suoi lenti movimenti e con la voce eterna. “Mi dispiace fratello, mi dispiace. Ma non disperare, nessuno sa cosa ci sia dietro quella porta; e dietro il nulla. “Io la mia strada l’ho trovata, tu hai percorso il mondo in maniera passiva, non hai provato emozioni, non ti sei interessato dei fatti altrui, non hai creduto che ci fossero battaglie da combattere perché sei un poveretto, non hai ucciso perché non ne hai avuto la forza ma ne hai avuto la voglia, sei sempre stato il benvenuto da tutti perché non eri in grado di rappresentare la tua esistenza, sei stato onesto perché non hai avuto il coraggio di essere disonesto, perché non hai seguito il tuo istinto, perché hai vissuto all’ombra degli altri, nascosto in un luogo sicuro chiamato “società”. E invece amico mio ti dico che hai ucciso, hai violentato, hai fatto del male, stando al riparo di quella squallida società nella quale ti sei nascosto. Hai semplicemente pagato perché altri uccidessero per te, depredassero il mondo intero per dare spazio ai più futili desideri. Non ti sei opposto a nulla, a volte è assolutamente necessario dire NO; sei stato complice di tanto male, hai vissuto in un mondo di poveri a cui hai rubato e depredato e che hai violentato e hai umiliato, anche tu, seppure per interposta persona. Non sei onesto, fratello, sei un assassino, un ladro, per procura, hai una responsabilità enorme sulle tue spalle.”

Ero terrorizzato, ma cosa voleva quest’uomo da me e perché il suo sguardo mi affascinava fino a inebriarmi, era forse uno stregone, ero forse in uno stato di ipnosi? “Va bene ma adesso cosa vuoi da me, cosa vuoi che ti risponda? Io ho vissuto nel paese in cui sono nato, ho sempre lavorato per il bene comune, ho sempre aiutato il prossimo…..”. Adesso temevo la risposta, ero già pentito dalle mie parole.

“Hai capito fratello, lo vedo nei tuoi occhi, il problema è che adesso è tardi, la targa è stata apposta alla tua anima, adesso sei pronto per attraversare la porta.”

Lo guardai cercando compassione, “e adesso cosa mi succederà?” Questo lo saprai tu prima di me, passa la porta, io non ne ho il permesso devo stare qui per attendere tutti e fare in modo che tutti attraversino la porta coscienti di quello che sono stati, ognuno con accanto la propria anima. Nessuno torna indietro dalla porta, non è mai successo.

Il vecchio barbuto e bianco guardò sopra la mia testa, come se di colpo fosse cresciuto di altezza e mi sovrastasse. “Anch’io fratello, un giorno feci una cosa terribile, estrassi la mia spada e tagliai un orecchio ad un soldato. Anch’io porto la mia targa appesa all’anima.”

Delle figure umane si avvicinavano, chiassose, tossendo, spingendosi, muovendo scompostamente le braccia. Prima di passare la porta (perché non l’avevo vista prima?), mi girai e chiesi al grande vecchio chi fossero quelli.…”sono i nuovi arrivati, sbarcati dalla nave del cielo”, mi rispose. “nave del cielo?” chiesi ancora; “si, ce n’è più d’una, sono grandi come le navi che si trovano sui mari della terra, ma solcano l’aria non l’acqua, io però i modelli terrestri non ho avuto modo di vederli, perché quando c’ero io, le grandi navi  non c’erano”, fu la risposta, al massimo una triremi col rostro!.

Poco convinto, varcai la soglia. Mi venne un dubbio: ma Pietro non era a guardia della porta del Paradiso? E non forse del grande portone dove passano tutti, prima dello smistamento? Perché, allora, mi avrebbe detto:da questa porta non torna indietro nessuno?

 

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