ONIRICO

 

                                                                              

Noi, a volte, annunciò Maurizio quella mattina (e il suo volto appariva intimamente compreso di quanto fosse importante quello che stava per dire), parlando, usiamo dei termini, il cui significato ci è più o meno chiaro per consuetudine e non ci preoccupiamo di ricercarne l’origine, la ragione per cui quel termine ha quel determinato significato.

Guardando al di sopra degli occhiali che portava inforcati sul naso, scrutò intorno a sé, per vedere se c’era corrispondenza con i suoi allievi, i quali ascoltavano, sì, ma piuttosto distrattamente. Pensò, quindi, di rinfocolare il loro interesse, alzando un poco il tono della voce ed entrando nel vivo del discorso.

C’è una parola che noi usiamo spesso, perché ha un bel suono ed evoca qualcosa di misterioso che ci appartiene, ma che non conosciamo bene e questa parola è “onirico”, disse, quasi emozionato per aver rivelato un segreto prezioso a persone che forse non lo meritavano.

E’ vero! Insorse Pancrazio alzandosi d’impulso e facendo traballare la sedia sulla quale era seduto, io ho una foto d quella parola!

Maurizio lo guardò perplesso ed alquanto infastidito: ma che dici? Gli chiese, una foto di che?

Mio nonno, cominciò a raccontare l’irruento alunno, da giovane fu un avventuriero e, non trovando lavoro in Italia, emigrò all’estero, soggiornando a lungo in Venezuela.

Pancrazio, non facci perdere tempo, lo ammonì il Maestro.

No, no, dico sul serio, insistette quegli; in uno dei suoi viaggi, ci mandò una cartolina che veniva proprio da lì.

Ma da lì, dove? Chiese ancora, ma con stizza, l’oratore.

Dall’Orinico, annunciò baldanzoso Pancrazio, dalle rive del fiume che si chiama così. Era una foto bellissima, mio nonno, con il fucile e alle sue spalle una grande cascata, in un paesaggio proprio da sogno.

A Maurizio caddero le braccia: Pancrazio, disse, sei impagabile; il fiume si chiama Orinoco e non Onirico, che è la parola di cui ci stiamo occupando. Ma quel che c’è di straordinario è che questa parola parla di sogni e tu, sparlando di tutt’altro, hai però nominato il sogno…non so, ci deve essere qualche genio nascosto in te che ti suggerisce le cose…sono impressionato!          

‘Mbè, anch’io, disse Pancrazio abbrancando la sedia e risedendosi, impunito. Da ragazzo, quando non riuscivo a prendere sonno, mio nonno, che poi tornò, mi raccontava cose fantastiche che aveva visto da quelle parti ed io mi addormentavo e facevo sogni bellissimi.

Maurizio era imbarazzato ed emozionato, non sapeva che dire; nella sala si creò un gran silenzio, rotto soltanto da qualche mormorio che proveniva dal bar: due avventori, parlando sottovoce, stavano commentando l’ultimo film di Fellini che avevano visto, “La Voce della Luna”; è il trionfo dell’onirico, diceva uno dei due, le scene più belle sono da sogno: Benigni che scruta oltre il muro di cinta del cimitero e cerca un buco per vedere l’aldilà, Villaggio che balla il valzer con l’anziana dama, sono immagini oniriche di indimenticabile potenza.

Non mi resta che dirvi, disse abbattuto Maurizio, che onirico viene dal greco “òneiros” che vuol dire sogno, ma è una parola inventata di recente, alla fine dell’‘800, ripescata, sulla scia dell’interesse scientifico per il fenomeno del sogno, e la riscoperta delle lingue morte come fonte da cui attingere pregnanza semantica, culminato con “L’Interpretazione dei Sogni”, di Freud, che è del 1899.

Ah Maurì! Stavolta sei stato grande, disse Pancrazio, entusiasta di come si erano risolte le cose, con un tuffo nei suoi ricordi, che avevano il sapore, ma egli disse sopore, di una realtà sognata.

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