LA BANALITA' DEL MALE

 

                                                              

Sono triste, annunciò Pancrazio, appena entrato nel “covo” del Circolo, sfregandosi le mani per il freddo e annusando voluttuosamente gli aromi della pasticceria fresca e del caffè che gli amici, tutti riuniti, stavano già consumando, ieri è stato il giorno della Memoria, ed eravamo tutti commossi per le varie rievocazioni fatte ed oggi tutto è tornato normale e sembra che nessuno abbia niente da ricordare.

Insomma tutto quel grande male c’è stato, vero? E tutti vogliamo che non si ripeta più; allora perché nessuno fa niente per la pace nel mondo e tutti pensano alla guerra. Facciamo grandi progressi, ma a me sembra che l’umanità sia sempre lì, a segnare il passo e a contare i morti, per poi fare le commemorazioni.

La Shoah, rispose il Maestro, che in ebraico vuol dire “catastrofe”, è stato il più grande crimine commesso nella storia dell’umanità, l’Olocausto degli ebrei ad opera dei nazisti tedeschi, nel corso della seconda guerra mondiale, non può essere dimenticata.

Io ricordo, seguitò Pancrazio che un nonno di Giulia, fu deportato perché si chiamava Samuele e suo fratello Abramo fu ucciso nella stalla, con un colpo di pistola, perché si era opposto al sequestro di una mucca, che i tedeschi intendevano portare via per la macellazione. Dico di più: nella casa dove abitavano, c’era un soppalco con un lucernario al quale si accedeva mediante una scala di legno, molto ripida ed un soldato tedesco vi si arrampicò per controllare che non vi fossero nascoste altre persone; nello scendere, quel soldato, inciampò e cadde rumorosamente; una sorella maggiore di Giulia, Sara, di 5 anni, scoppiò a ridere ed il tedesco, rialzatosi, si avvicinò alla bambina, puntandole addosso il fucile e minacciando di spararle. Per fortuna sua madre la sgridò per aver riso ed il soldato dopo un poco se ne andò.

Il nonno Samuele, poco dopo la cattura, riuscì a fuggire, approfittando della confusione che si creò in occasione di un attacco areo alla colonna tedesca e tornò a casa per il funerale del fratello.

Ieri, in televisione abbiamo assistito alla rievocazione di otto bambini, presi a caso, fra le migliaia, morti nei lager (campi), dopo la deportazione; avevano dai sei anni, a calare fino a sei mesi, l’ultimo. Come poteva essere così disumana quella gente? Si chiese desolato Pancrazio.

Il fatto più inquietante, disse, pronunciando lentamente ogni parola Maurizio, è che quegli uomini che hanno diretto per anni campi di concentramento e di sterminio, che hanno ordinato stragi e distruzioni, poi, nella vita erano persone comuni, normali, ottimi padri, buoni mariti, ascoltavano Mozart e Beethoven, leggevano Goethe ed Heine, intrattenevano buoni rapporti con amici e conoscenti non avevano nulla di mostruoso.   

Hannah Arendt, nel suo resoconto sul processo intentato nel 1961 in Israele contro Adolf Eichmann, per crimini contro l’umanità, ha svelato una verità scomoda con la quale dobbiamo fare i conti, parlando di banalità del male; paradossalmente, afferma, è meno temibile un mostro, perché con lui facciamo fatica ad identificarci, mentre noi dobbiamo temere di più colui che commette delitti efferati ed è proprio come noi, perché è con lui che non vogliamo identificarci, con l’uomo qualunque, comune, di poche idee, di scarso o nullo spessore morale, che non è capace di nutrire giudizi sul proprio operato, eseguendo puntualmente gli ordini che gli vengono impartiti e che quindi è capace di fare di tutto, anche il male assoluto, senza scrupoli di coscienza, perché la responsabilità è di altri. Il male, trova origine nella banalità della natura umana, nella mancanza di idee di chi lo commette, nella “apparente”, aggiungo io, normalità del suo carattere, per cui chiunque, in possesso di quei connotati, potrebbe macchiarsi dei più orrendi delitti. E’ con loro che non vorremmo avere nulla a che fare.

Allora siamo tutti criminali? Chiese angosciato Pancrazio.

Potenzialmente, sì, rispose il Maestro, ma…

“Fatti non fummo, sentenziò Silvana, sollevandosi col petto in fuori, per viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza” e si guardò intorno in cerca di applausi.

Brava, Silvana, disse Maurizio, anche senza tirare in ballo Dante, che in questa materia non c’entra per niente, possiamo affermare che la verità rivelata dalla Arendt, è sconvolgente: fino a che punto siamo certi di non essere individui comuni e non essere in possesso di capacità intellettive e morali, proprio come i grandi criminali? Ma c’è un metro col quale misurarci ed è la nostra capacità di renderci conto di quello che stiamo facendo ed agire di conseguenza, seguendo l’indicazione della nostra coscienza, che naturalmente è capace di distinguere tra ciò che è bene e ciò che è male.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Commenti