INTIMO
Oggi parliamo di intimo, annunciò Maurizio con un sorrisetto malizioso che non gli era assolutamente abituale; Pancrazio alzò subito la testa. Naturalmente non intendo riferirmi a magliette e mutande, anche se so di deludere qualcuno; d'altro canto, questi indumenti hanno il loro fascino e la loro bellezza intrinseca suscitando suggestioni e fantasie erotiche che vanno al dà del puro e semplice feticismo e comunque fanno parte di un bagaglio più vasto di cose che si tengono appartate, nascoste.
Perché l’intimo è riservato, o, addirittura, segreto.
La parola viene dal latino “intimus” ed è un superlativo, significa “che è più interno”, il cui comparativo è “interior”, che vuol dire, “interiore”, quindi l’intimo, nella nostra lingua, indica tutto ciò che è più addentro, cioè esprime la massima estensione del concetto di interiorità, termine col quale si indica la semplice condizione di essere interno.
Stando così le cose, l’intimo come capo di abbigliamento, non rientrerebbe nel concetto, in quanto non si indossa “dentro”, ma “sotto”, essendo biancheria che si porta sotto il vestito.
Ma torniamo all’intimo non condizionato da fantasie più o meno pruriginose, non trascurando di ricordare, però che anche gli organi sessuali, maschili e femminili, rientrano nel novero delle parti “intime” del corpo, che per verecondia, si tengono normalmente coperti. Questi organi si chiamano anche e ancora “pudenda”, cioè cose di cui ci si dovrebbe vergognare, ma per fortuna, con l’evoluzione dei costumi, questo significato rimane sempre più confinato negli “intimi” recessi della storia, avendo tali organi conquistato nel frattempo posti di tutto riguardo nell’immaginario collettivo.
Non possiamo, quindi, non accennare all’anima, già bistrattata nei post precedenti, giusto come corrispettivo -al rovescio- della pruderie di cui si è parlato finora; cosa c’è di più intimo dell’anima (o dell’animo, attenzione!)? Nell’intimo -la parte più interna- dell’anima, ciascuno di noi nasconde qualcosa, un pensiero, una gioia, un dolore, un amore o un odio, un sentimento, insomma che fa sì che noi umani ci distinguiamo da tutti gli altri esseri viventi, o almeno così ci piace credere.
Intimo è il connotato dell’intimità, che è la cosa più tenera che possa coronare il nostro spirito. Intimità con se stesso, o intimità con qualcun altro, o altra, a seconda dei casi, ed è quanto accade tra due persone che condividono cose che nessun altro deve conoscere. Situazione nella quale, spesso succede anche che l’intimità degli spiriti, si congiunga con una diversa intimità che rientrerebbe nel concetto più sopra adombrato, di intimità dei corpi sotto le lenzuola, fino alle parti più intime, di cui è giusto non vergognarsi, come pure è bene non fare mostra in pubblico.
Ma è dell’intimità nel senso di interiorità che voglio spendere ancora qualche parola, di quella cosa che non sappiamo dov’è (nel cuore? nel cervello? Qualcuno addirittura ha detto nel pancreas) e non sappiamo cos’è (capacità d’introspezione, forza, determinazione, ecc.), ma che in ultima analisi altro non è che l’intima essenza di noi stessi, la nostra identità, il nostro puro e semplice esistere, come individui singoli, diversi, irripetibili.
Tutto cominciò nell’imo (altro termine che indica profondità, interiorità, es. parlare ab imo pectore, dal profondo del cuore) dei primordi, quel giorno in cui Dio insufflò con un soffio lo spirito nella statuetta di creta che aveva fatto e chiamato Adamo e lo stesso si presume che fece anche con la compagna che gli aveva procurato, staccandola da una sua (di Adamo) costola ed alla quale aveva dato il nome accattivante di Eva, quando si accorse che da solo il giovanotto si annoiava, salvo poi a pentirsi subito dopo, quando scoprì che i due avevano trasgredito la sua (di Dio) proibizione a non mangiare quell’unica mela matura che pendeva dall’albero rigoglioso della conoscenza ed ebbe così certezza della natura ribalda dei due esseri di sesso diverso che aveva creato e li cacciò dal Paradiso Terrestre.
Scesi sulla nuda terra Adamo ed Eva che prima giravano tranquillamente nudi, scevri di ogni sentimento di vergogna, davanti al loro Creatore, da quel momento, sentirono, chissà perché, il bisogno di coprirsi le parti intime, anche se lì non c’era nessuno che potesse vederli. Probabilmente perché sentirono imbarazzo l’uno con l’altra. A quel tempo, sulla Terra non c’erano, ovviamente, negozi di intimo e i due ribaldi dovettero accontentarsi di due foglie di fico.
Mia moglie, sortì Pancrazio, voleva aprire un negozietto di intimo a Colleminuccio, a casa nostra, che aveva una vetrinetta che dava sulla strada principale, dove intendeva esporre la merce in vendita, ma venne il prete e disse che, siccome la vetrina era situata proprio davanti all’ingresso della canonica, sarebbe stato un insulto per lui e un'offesa alla Chiesa, esporre merce provocante e peccaminosa, in quanto lui, rientrando, non avrebbe potuto non vedere mutandine e reggiseni in bella mostra addosso al manichino di femmina nuda che mia moglie aveva comprato da un sarto per quello scopo e minacciò la scomunica se mai si fosse azzardata a farlo, così dovette rinunciare.
Da quel giorno non abbiamo più pensato a nulla di intimo.
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