CATULLO RIVISITATO

 

                                                                      

Lugete, o Veneres cupidinesque”, il passero non è morto, ma è rimasto senza casa a non sa dove andare.

Il grande albero sul quale la sera trovavano asilo moltissimi uccelli ed altri esseri viventi, un vero condomino nel quale tutti trovavano composizione, senza litigi, non c’è più: al suo posto il vuoto, un vuoto dell’animo in chi era abituato a goderne la presenza e l’ombra, sempre gradita, preziosa in estate.

Di tutta la fitta vegetazione, che rendeva rigogliosa la collina antistante il mio balcone, non resta che qualche tronco decapitato e pochi ciuffi di erba sempreverde.

Catullo invitava a piangere Veneri ed Amori per la morte del passero che era “deliciae meae puellae”.

Aveva un animo estremamente sensibile ed una grande carica erotica, che era la vita, la negazione della morte.

Nato a Verona, negli anni 80 a.c., si trasferì a Roma nel periodo più fecondo degli ultimi decenni della Repubblica, in cui erano attivi letterati come Orazio, Ovidio, Cicerone e politici come Cesare e Crasso e condusse una vita dedita agli ozi letterari, lontano dalla politica (non m’importa di avere la tua approvazione, Cesare, diceva parlando del futuro conquistatore della Gallia), è ricordato come il primo  poeta latino che ha parlato essenzialmente di amore.

Noi, nel nostro piccolo, piangiamo la morte di un grande albero e la fine di una fase della vita, di stretta comunanza con esso, durata più di cinquanta anni.

E’ plausibile che Catullo, nei suoi momenti di sconforto per le pene d’amore, cercasse la quiete nei suoi luoghi nativi, sulle rive del Lago di Garda, a Sirmione, dove sembra che sia stato proprietario delle Grotte termali che sono intitolate al suo nome, per dare pace alle sue ansie, in quei “tepidi lavacri”, così solitari e discreti.      

Inseguiamo Catullo e le sue fantasie amorose fin sulle placide onde di quel lago, tra quelle anfrattuosità piene di suggestione e di ombre, dove è possibile trovare ancora le tracce del suo spirito, per consolarci in sua compagnia di una privazione imposta da esigenze – dicono -  di sicurezza pubblica, ma soggettivamente ingiusta.

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