SPERANZA

 

 

                                                                                     

Ieri abbiamo parlato di panico, che è la paura incontrollabile che ci prende di fronte ad eventi imprevedibili e induce a comportamenti irrazionali.

Oggi voglio parlare della speranza, che in qualche modo è il contraltare del panico, cioè l’esatto contrario.

La speranza è amica dell’uomo e lo aiuta a superare momenti difficili, mentre il panico è nemico dell’uomo e lo riduce in gramaglie.

La speranza è come l’erba di un prato, sempre verde, mentre il panico è come un campo devastato dalla tempesta.

E’ vero però che anche l’erba del prato, ad un certo punto della stagione, tende ad ingiallire, così come un campo devastato, col passar del tempo, può tornare ad essere ridente. Questo rientra nel ciclo naturale, per cui due rette non parallele su un piano, tendono a riunirsi, così la speranza e il panico tendono ad essere parte di uno stesso disegno.

Dove finisce il panico, torna la speranza e viceversa.

Secondo il racconto della mitologia greca, giacché anche la parola “speranza” non sfugge al richiamo della mitologia, la dea Speranza fu l’unica divinità che restò sulla terra a consolare gli uomini, lasciati soli dagli altri dei, che si ritirarono sull’Olimpo.

Anche qui notiamo il parallelismo dei due termini, anche Pan, se ricordate bene, disdegnava l’Olimpo, preferendo la compagnia dei boschi, degli armenti e, perché no, anche degli uomini.  

Quindi la speranza è veramente tutto per gli umani, finché c’è vita, c’è speranza, recita un motto popolare.

Continuando l’allegoria dei campi, vediamo che la speranza è come certi fiori, che si aprono col sole e si chiudono col buio. Così la speranza può vacillare in certi momenti di panico, di ansia o di angoscia, o può attenuarsi, allegoricamente, col buio, per risorgere, una volta che spunti il nuovo giorno che, con la luce, disegna nuovi orizzonti ed apre il cuore a nuove aspettative di felicità e di vita.

Portata a termine la sua lezioncina del giorno, Maurizio inforcò gli occhiali, per osservare le facce dei suoi ascoltatori e notarne eventualmente segni di gradimento. Dovette presto ricredersi, chi leggeva il giornale, chi smanettava col cellulare, o semplicemente sbadigliava. Se ne uscì inosservato.

Pancrazio fu l’unico a seguirlo: che ti sei perso, la speranza? 

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