NE VALEVA LA PENA

 

 

                                                                         

Giunto al punto in cui sentiva approssimarsi il giorno in cui “Sorella Nostra Morte Corporale” si sarebbe presentata a prenderlo in consegna, Pancrazio (non il nostro Pancrazio, quello vivrà cent’anni e forse non morirà mai, un altro come lui, forse un sosia, o un avo), per la prima volta fece una considerazione che potremmo chiamare filosofica sulla sua vita.

Ritrascorrendo con la mente gli episodi della sua vita passata, si chiese: Ne valeva la pena?

Cazzo! Rispose subito il suo io interiore, e me lo chiedi?

In effetti la sua vita era stata una sequela di giorni sereni, un’eterna primavera-inizio estate, tutta al presente, il passato non gli interessava perché non poteva modificarlo, il futuro era ignoto, ma non incerto: si aspettava di avere qualche briciola di piacere in più rispetto al passato, che non in meno e non aveva nulla di cui lamentarsi.

Allora, perché porsi quella domanda? Qual era il segreto rovello che aveva preso a perseguitarlo, senza che lui se ne accorgesse?

Qualche giorno prima era venuto a trovarlo, nella sua dimora di convalescente da una banale malattia, un giovane svelto e simpatico, certo Giacobino, che, forse sotto mentite spoglie, si era accreditato come figlio del noto tuttologo, Rumir Atore, uomo dalle molte esperienze e dai molteplici interessi politici e culturali.

Sono preoccupato per mio padre, aveva esordito il giovane. Prima se la prendeva con gli infami che da decenni mandano in rovina il Bel Paese (L’Italia, non il formaggino) ed ha opposto una strenua resistenza alla imposizione dei vaccini, in difesa della democrazia e delle libertà costituzionali, poi si è opposto all’invio di armi in Ucraina, ora si è messo a meditare sul senso della vita, chiedendosi: “che sarebbe la vita senza emozioni”? cosa siamo e dove andiamo? e via discorrendo, avviluppandosi su ste stesso, senza trovare la via di uscita da questo garbuglio.

C’è da dire, aveva seguitato il sedicente Giacobino, che mio padre è un uomo molto sensibile, si commuove di fronte ad ogni evento della natura, dal cambio delle stagioni, alla nascita di ogni filo d’erba, al miracolo dell’avvicendamento del giorno alla notte e non si dà pace per la mancanza di quella armonia che vorrebbe vedere nel mondo e che non trova, per colpa dei soliti noti, “loro”, quelli che si sono impossessati della terra ed intendono mantenerne il comando, costringendo le popolazioni del mondo in uno stato di perpetua sudditanza.

In guerra con l’intero mondo, ma almeno fosse in pace con se stesso! Avviene il contrario: egli è sempre in pace con tutti ed in guerra con il suo spirito indomito e ribelle.

La voce del giovane era soave ed accorata.

Rumir vuole bene agli uomini ed agli animali, e va predicando una specie di francescanesimo epidemico ed epidermico che ci vuole tutti fratelli.

Così parlando, più del meno che del più, si arrivò al punto in cui il giovane venne a disquisire del tema che gli stava maggiormente a cuore: valutare il grado di soddisfazione che ognuno di noi deve avere della propria vita, quando, arrivati alla fase finale di essa ci si rende conto che è necessario fare un bilancio delle cose belle e buone che nel corso di essa si sono avute e di quelle meno belle e meno buone, o addirittura brutte e cattive che pure possano essere capitate.

Da qui, passò al caso personale della sua vita e della possibilità, una volta che questa fosse giunta alla fine, di riviverla una seconda volta, tale e quale alla precedente.

Ebbene, di fronte ad una tale eventualità, che a lui non dispiaceva, affermò di averne un’idea simile a quella che ha uno spettatore al cinema che, dopo aver visto un bel film, si trattiene a vederlo una seconda volta, con lo stesso e forse maggior diletto della prima, facendo con la sua vita proprio come si faceva un tempo con i films, riavvolgendo cioè idealmente il nastro della vita, come una pellicola per una nuova proiezione. Oggi, con il cinema in formato elettronico e digitale, basterebbe un clic per tornare alla prima scena.

Dopo questo colloquio le certezze di Pancrazio erano diminuite, anziché aumentare. Egli non si era mai posto prima un quesito del genere e il solo pensiero di rivedere il film della sua vita, già visto, non lo sfiziava affatto.

Una vita, dove tutto, anche il finale, fosse noto, non sembrava una vita degna di essere rivissuta. A lui piaceva andare incontro alla vita, giorno per giorno, perché ogni giorno si aspettava di vivere nuove emozioni e fare nuove esperienze. L’imprevisto era per lui più entusiasmante della routine. Come uscire da questo dilemma?

Che avesse ragione quel Rumi che, secondo il racconto del figlio, per eccesso di sensibilità, si chiedeva che sarebbe mai una vita senza emozioni[H1] ?

Ed allora gli veniva da chiedersi: primo, ne valeva la pena? Nel senso di capire se la sua vita fosse stata abbastanza soddisfacente da non avere rimpianti a lasciarla e, secondo, la rifarebbe?

Sulla prima domanda non aveva dubbi: il bilancio della sua vita era assolutamente positivo; sulla seconda, pencolava. Una vita in cui ogni mattina, appena alzato dal letto, tutto quello che ti accadrà nel corso della giornata è lì, davanti a te, sarebbe di una noia mortale. Allora meglio morire, subito.

Ma poi, ci ripensava: morire, subito? Mai!

Lo spettatore, al cinema, che rivede il film una seconda volta, di solito, scopre aspetti e particolari importanti che gli erano sfuggiti nella prima visione; non potrebbe essere così anche con la vita, se ci venisse data la possibilità di riviverla?

Già, sì, argomentava quel Pancrazio lì, ma se, nel corso di questa seconda vita dovesse scoprire il vero senso di essa, cosa che gli era sfuggita con la prima, allora, il film – della vita – a questo punto non sarebbe già più lo stesso film di prima e tanto più sarebbe stato utile e divertente riviverla.

Elementare Watson, gli rispose Maurizio, quando egli gli riferì il suo ragionamento (anche quello aveva un Maurizio, anche più pedante), al che Pancrazio, offeso per non aver capito la citazione e, pensando ad una presa per il c…da parte del Maestro, prese cappello e si alzò per andarsene.


 [H1]t

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