INSULSAGGINE

 

 

                                                                  

Pancrazio, i tuoi discorsi non so se definirli una insulsaggine, piuttosto che una melensaggine, tanto sono vuoti ed insignificanti.

Vedi Sebastiano, a volte è meglio dire una… inezia (e strizzò l’occhio a Maurizio), che stare zitto come fai tu.

Ma io non sto zitto, come vedi ti sto parlando.

Ah, sì? Non me ne sono accorto.

In-sul-sag-gine, prese a sillabare il Maestro, è una parola che dovrebbe essere di casa nell’ambito di questo Circolo, che, non dimentichiamo, si intitola Accademia dell’Abecedario. La sua voce, è il caso di precisare, si levava  -di poco- ondeggiando, su bicchieri e tazzine vuoti o con residui di fondi -  quel che restava della colazione appena consumata dagli adepti – momento di pausa, per riprendere fiato, poi, deciso, l’insulsaggine, ripetette in modo più scorrevole per un cambio di tono, che dal grave, sfumava in falsetto, è la banalità irritante, una specie di scipitaggine, o, se volete, insipienza, che si ostenta anche in forme magniloquenti, da parte di oratori che non hanno nulla da dire.

Io, per conto mio, non parlo mai mangiando, obiettò Pancrazio, per cui…

Ma l’insulsaggine non è che una cosa non ha sapore? frappose Silvana, molto attenta al discorso.

No, Silvana, non è per il sapore, insistette Pancrazio, è una questione di educazione: non si mangia a bocca aperta!

Io non capisco, intervenne Sebastiano, se lo fa apposta, per prenderci per i fondelli, o se per davvero è così stupido! Si era rivolto a Maurizio ed indicava Pancrazio. Non ho mai sentito tante insulsaggini.

Hai ragione, Sebastiano, Pancrazio si diverte a giocare con le parole e prenderci in giro, ma anche questo è utile per comprendere quanto sia importante usarle in modo appropriato. A guardar bene, la sua non è insulsaggine, ma un fraintendimento.

Colpito da quest’ultima affermazione di Maurizio, Pancrazio riprese: Ci fu un momento - e il suo volto assunse un’espressione sognante, poi, dopo una frazione di secondo di studiata sospensione - continuò: in cui fui tentato di farmi frate: ero molto giovane e spesso andavo a trovare i frati di un convento vicino Colleminuccio e loro mi chiamavano Frà Sentimento, perché, quando uscivo con uno di loro per il giro della questua, le elemosine che i fedeli abbienti ci offrivano, io le passavo ai più bisognosi.

Il che, indubbiamente, disse ridendo Sebastiano, se non è insulsaggine, è almeno dabbenaggine.

Non è vero, affermò risoluta Silvana. Pancrazio potrà anche inventare delle storie, ma sono belle storie, che mi lasciano frastornata.

Dici bene, cara, riprese Pancrazio, c’era anche un frate che tutti chiamavano Frà Tornato, era  un bel ragazzo che aveva abbandonato il convento, per andare dietro ad una donna bellissima che gli aveva promesso eterno amore, il quale, dopo qualche tempo, tornò al covile (l’ovile è per le pecore), deluso ed amareggiato, “l’eterno amore non esiste” mi disse una volta, ma io non gli ho creduto: per me, si era stufato di una sola e sempre la stessa ed era tornato là, perché, nel convento, erano in tante a cercarlo.

Alla faccia dell’insulsaggine e della melensaggine, intervenne per ultimo Oreste, che fino ad allora si era tenuto in disparte, quasi a non volersi immischiare in una questione troppo minuta, qui siamo di fronte ad un fenomeno di creatività che ha i connotati del miracolo.

Noooh!, asserì, serio, Pancrazio, di miracoli non si è mai parlato, né io, né gli altri.  

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