SOLLAZZO

 

 

                                                                        

Sollazzo è una parola che piace, recitava Maurizio di fronte ad un uditorio formato dai soliti quattro gatti del sedicente circolo letterario denominato, non a caso, Abecedario.

L’irrequieto Pancrazio ritenne subito opportuno interrompere il suo discorso, con una facezia: In questo giorno di gaudio e di sollazzo, esordì sghignazzando, tanti saluti al beneamato ca…ro Galeazzo.

Maurizio, irritato, continuò, dicendo in generale: lo sghignazzo, è un’espressione di volgarità che mette in imbarazzo, non solo chi lo fa, come almeno dovrebbe, ma soprattutto chi lo subisce o soltanto lo sente.

Ma Pancrazio, recidivo, insistette: Noi tutti, qui, ci stiamo sollazzando con le tue parole, ironizzò, cambiando tono e, fingendo di non aver capito l’antifona, aspettiamo che tu ci dica cosa significa sollazzo.

Maurizio esitò tanticchia, direbbe Montalbano, incerto su come reagire alle continue provocazioni dell’amico, alle quali intendeva porre un freno, pur senza umiliarlo, poi decise di continuare come se nulla fosse.

Sollazzo, disse, viene dal latino “solatium”, che vuol dire conforto, derivato da “solari”, ristorare quindi è un intenso piacere, che il soggetto si concede normalmente dopo una fase di intenso lavoro, o comunque di affaticamento, sia fisico, che spirituale, ma anche indipendentemente da questo motivo, come pausa dal tra-tran quotidiano, un risarcimento, un conforto e una ristorazione; è un rilassarsi e godersi il tempo del riposo, anche nella maniera più semplice, magari solamente con il gioire nel vedere le cose che ci stanno intorno e che formano quello che comunemente chiamiamo la nostra zona di confort.

Allora è sinonimo di sollievo! Esclamò Silvana, uscendo fuori dal bancone con il grembiule inamidato e avvicinandosi al gruppo.

Proprio sinonimo non direi, si intromise Oreste, ma simile, il sollievo comunque precederebbe il sollazzo, prima uno si libera da una pena, da un dolore, e dopo si può concedere un meritato ristoro.

Il sollievo è più momentaneo, aggiunse Maurizio ed è legato ad una precedente pena, una sofferenza, che può essere anche fisica.

Mentre il sollazzo, può prescinderne, fu la osservazione di Oreste, il quale volle aggiungere: ritenevo che la parola sollazzo fosse, sì, indicativa di un godimento, o anche di una gioia, in cui ci si compiaccia di crogiolarsi, ma che in sé la parola avesse un che di volgare, voglio dire, grossolano. Una maniera debordante del piacere.

Secondo alcuni, riprese Maurizio, sollazzo potrebbe venire da “sol”, il sole e quindi mi dispiace contraddirti, non può essere volgare, né debordante, ma dolce e delicato come il piacere di godersi il tepore di un raggio di sole quando fa freddo.

C’è qualcosa, però, in quello che hai detto, che merita di essere approfondita, continuò dopo un attimo di ripensamento.

E’ una mia considerazione e pertanto prendetela con le pinze, tenne a premettere: alcune parole che finiscono in “zzo”, hanno in comune la caratteristica che contengono una notazione dispregiativa, denigratoria, nei confronti della persona o della cosa che ne formano l’oggetto, talvolta in senso accrescitivo, ma derisorio, come per esempio quando diciamo: è arrivato l’onorevole Tal  dei Tali con il suo codazzo di sostenitori, o, anche: basta con questo andazzo, o, quando vogliamo descrivere un giovane grosso e fanciullone, diciamo: guarda che sorta di giovinazzo! O addirittura con senso di scherno, come: che razza di pupazzo è quell’uomo! che è l’equivalente del Quaquaraquà, secondo la felice espressione di Sciascia, oppure: mandami pure il tuo scagnozzo, gli darò il fatto suo!

Uno sfregio in campo sentimentale: quello è stato solo un amorazzo.

Lo stesso effetto si ottiene, in altro contesto, quando si vuole svilire il valore del soggetto, dicendo: stai a sentire quel pretonzolo?  mentre altre parole che all’orecchio suonano in maniera onomatopeica come simili a quelle ora citate, non hanno questa caratteristica della denotazione negativa, pur trascinandosi dietro quell’effetto di cosa grossolana, come, singhiozzo, pazzo, palazzo e tra esse, appunto anche sollazzo e questo è l’errore nel quale è caduto Oreste pocanzi.

Io ne conosco un’altra, disse Pancrazio, ma non posso dirla per rispetto delle signore qui presenti.

Dico solo che comincia con “ca” e seguita come ha detto Maurizio, ma io non aggiungo altro.

Volevo però far notare che quella parola, che fa tanto rima con sollazzo, ha a che fare con le origini ed ha una potenza straordinaria, cioè una doppia valenza, in crescendo e in diminuendo, a seconda di come si colloca nel discorso; se dico: “che c. di testa ha quell’uomo!” voglio dire che ha una grande mente, mentre, se dico: “quell’uomo ha una testa di c.”, dico esattamente l’opposto, che cioè il soggetto di cui si parla non capisce niente.

Questa volta il silenzio che seguì era carico di senso, perplessità e disorientamento.

Criticare sempre tutti, disse infine Pancrazio, guardando divertito gli sguardi dei suoi colleghi, è un malvezzo che vi dovete togliere! Vero Maurizio? Secondo te ho capito o no il significato di sollazzo? 

E tu, Sebastiano, ti togli di tramezzo?

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