VIA DA QUESTO MARE

 

 

                                                                

La Battana aveva spento le luci ed issato intorno alla piccola costruzione, una palizzata, a difesa, più virtuale che reale dalle mareggiate o dalle invasioni. Sembrava un piccolo fortilizio in attesa di un improbabile attacco, una piccola Troia senza Priamo, Ettore ed Enea, andati via per un altro destino, con l’incubo di vedere l’orizzonte sul mare coprirsi da un momento all’altro, delle navi greche, più numerose delle formiche intorno ad un formicaio.

Dei due infaticabili animatori di quel mondo in formato estivo, il Primero, Putiferio, aveva trovato lavoro come buttafuori nel vicino Night Club, aperto anche d’inverno per accogliere i nottambuli che colà si recavano dal circondario, attirati come falene da quelle luci rosse che di notte si accendevano e il Segundo, che non aveva casa, si era lasciato aperto un passaggio nella fortificazione del complesso e abitava lì, in un posticino molto nascosto, esercitando il compito di custode, anche se non vi era molto da custodire.

Pancrazio, malinconico osservava i due mentre in silenzio eseguivano le ultime operazioni per dare al tutto un aspetto decoroso, senza indulgere al decorativo: la chiusura dello stabilimento doveva essere evidente, ma non definitiva, come un letargo programmato in prospettiva di un sicuro, prossimo risveglio.

Così quel passaggio che serviva a Segundo per accedere al suo ricovero, era ugualmente utile per consentire al titolare, Putiferio, di entrare all’interno, in un locale lasciato libero per accogliere lui e un limitato gruppo di amici che di tanto in tanto avessero voluto fargli compagnia nelle ore che egli passava là dentro, vuoi per eseguire lavoretti di manutenzione, vuoi per intrattenersi, da solo, o con loro.

Così passa la gloria del mondo! Esclamò ad un tratto, facendo sobbalzare Maurizio, seduto accanto a lui ad un tavolinetto di cortesia che il gestore aveva lasciato per loro.

Panta rei, rispose lui, dopo un attimo di esitazione, così, tanto per rimanere in tema di ovvietà, ma senza alcuna convinzione. Tutto scorre, caro Pancrazio e noi non possiamo farci niente. Si era appena ripreso dalla sua abituale meditazione e si vergognò di questi luoghi comuni, ai quali, di solito, era assolutamente restio a ricorrere.

Che ne dici, propose l’indefesso Pancrazio, se ci facciamo prestare una barca e andiamo a pesca, per organizzare una cenetta tra di noi questa sera?

Quando mai siamo andati a pesca, Pancrazio?

Ci vuole mica molto, basta una rete, uno rema e l’altro butta la rete, a ritirare il pesce che peschiamo, ci mettiamo in due, perché dovrebbe essere molto pesante.

Allora possiamo già mettere la padella sul fuoco. Diciamo a Putiferio di preparare la tavola.

A te non va bene mai niente, di quello che dico io!

Mala tempora currunt, disse enfatico, aggiungendo poi, maldestramente, così, tanto per completare l’opera, sed peiora parantur! In  quel momento era davvero a corto di idee e avrebbe voluto mordersi la lingua.

E che c’entra ora la paranza? Insinuò Pancrazio, guardandolo in tralice. Aveva notato il non momentaneo smarrimento dell’amico, ed incerto, aggiunse, con la paranza si pescherebbe meglio, ma chi ce la dà?

Mi riferivo alla prossima stagione…

Ora capisco perché hai parlato di mele, quella è la stagione di raccolta delle mele, ma se tu credi di poterle utilizzare come esche, temo proprio che di pesca non capisca proprio niente!

Chiediamo a Putiferio il permesso di rimanere qui, in questo fortilizio, ci vogliamo isolare dal mondo e non pensare più a niente.

D’accordo, ma a dormire con Segundo ci vai tu, sai com’è, quello non è il mio tipo.  

Maurizio guardò a lungo Pancrazio, il suo caro amico, avrebbe voluto essere come lui, i suoi occhi si velarono di lacrime.

Non piangere, gli disse accorato Pancrazio, ho detto per scherzo, Segundo non c’entra, pensiamo piuttosto a tornare alla nostra tana, che è in quel bar, in città, via da questo mare, che ci ammalia e ci toglie le forze.

 E’ ora di tornare alla vita!    

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