IL VENTO DELLA STORIA

 

 

 

IL VENTO DELLA STORIA
In questo settembre tirano venti strani, prima uno caldissimo, proveniente dal Sahara, poi di colpo sopraggiunge un altro, freddo, che si scontra con il primo (vento su vento) ed insieme alimentano vortici e tempeste premature.
Che sia il Vento della Storia, come suggerisce Lucio a Maurizio per discuterne con Pancrazio e gli altri della banda?
Sta di fatto che Maurizio ha preso la cosa sul serio e si è lanciato in una scorribanda, senza la banda, da solo, supportato soltanto dal povero Pancrazio, che di fronte alla storia e ancor meno ai miti, sui quali sbrocca il primo, si sente molto a disagio, pur non rinunciando alle sue osservazioni salaci.
Ne è venuto fuori uno scritto sullo Zibaldino, intitolato I VENTI DI SETTEMBRE, in cui si dice tutto e niente, non tanto dei venti di questo mese, che hanno portato calamità e lutti considerevoli, di fronte ai quali ci inchiniamo rispettosi, quanto sul corso della storia, con la lettera minuscola, o forse è il caso di dire metastoria, che porta, nella concezione dei popoli vicini alla nostra civiltà (ancora il carattere minuscolo), da Zeus a Dio, con un Maurizio sproloquiante ed un Pancrazio saltibeccante, che ha scoperto di avere avuto suoi emuli tra i personaggi omerici.
 

                                                        IL VENTO DI SETTEMBRE                                                            

“Il vento di settembre”, come suggerisce di chiamarlo la nostra cara Luciana, non è mai stato così impetuoso come in questi giorni, disse Pancrazio, guardando, assorto, dalla porta a vetri del bar, la polvere sollevata sulla strada, spazzata in quel momento da una folata di aria calda.

Vien da pensare, argomentò Maurizio, per corrispondere a quanto da lui detto, che Eolo si sia fatto grande. Ed infatti ne è passato di tempo da quando era rappresentato infante, riccioluto e grassottello, con le guance gonfie che soffiava un vento che non poteva essere calamitoso, ma piuttosto scherzoso, come quello di marzo. Venti che egli teneva rinchiusi in una grotta presso l’isola di Lipari, nelle Eolie, detta appunto l’Isola dei Venti e che liberava a suo piacimento sulla terra e sui mari a beneficio, o anche a danno degli umani.

Io non so di questo tuo amico di Lipari, ma dubito che possa essere il suo soffio a fare tutto questo casino, obiettò rispettosamente Pancrazio.

Maurizio, abituato a queste uscite dell’amico, senza tener conto della sua affermazione, continuò:

Ora, a volerlo rappresentare di nuovo, per come dovrebbe essere, vuoi per il tempo trascorso, vuoi per gli effetti disastrosi prodotti dai suoi soffi, dovremmo immaginare un gigante piuttosto simile ad un Nettuno, con barba folta e corna in testa, agitatore di elementi naturali, al pari del suo collega più anziano, temibile come lui, anche senza il tridente, che poi, non si capisce perché quegli se ne armasse, per governare sul mare e sulle sue tempeste.

Anche se fosse King Kong, ugualmente non potrebbe fare quello che sta facendo, insistette Pancrazio, forte del suo buon senso.

Tra gli effetti indesiderati, Maurizio ormai ascoltava solo la sua voce, sono vento, tempeste, calamità naturali, quali bombe d’acqua, alluvioni, inondazioni e, inevitabilmente vittime innocenti sacrificate sull’altare di dei indifferenti che dall’Olimpo guardano le misere vicende umane, governando, non si capisce bene con quale criterio, la forza degli elementi ad essi affidati.

Scuotendo il capo, come a svincolare un’idea dal grappolo di pensieri che gli erano affiorati alla mente, infervorato, continuò:

 Pensando alle vittime di questi eventi catastrofici, altre immagini affiorano alla mente, ripescate in modo opinabile dalle reminiscenze scolastiche del tempo bello della mitologia greca, come Plutone, dio dei morti e delle tenebre re dell’Ade che è la città delle ombre e, passando poi con un abile saltello, al di là di quello spartiacque tra due mondi, rappresentato dalla nascita di Cristo e visitando in punta di piedi il santuario della nuova religione, si può tentare un fortunoso quanto improbabile raccordo tra questi due mondi, usando come tramite il testo del Vangelo di  Matteo, al punto 8, 18-22, dove[H1]  si danno due risposte a dir poco sibilline di Gesù, a domande innocenti di due suoi seguaci.

Questo per capire quanto fosse grande la distanza tra il mondo arcaico dei miti classici, fra dei in combutta e più spesso in concorrenza fra di loro ed il loro capo, Zeus, sempre in fregole per mettere le corna a Giunone e quello formatosi dopo l’avvento di Cristo, con la rigida concezione del Dio unico imposto dal cristianesimo.   

Bisogna dire che il Vangelo, anzi i Vangeli, perché sono tanti, fra i quattro riconosciuti autentici dalla Chiesa e quelli così detti apocrifi, sono di un impatto sempre sorprendente, ad una prima lettura. La figura di Cristo viene tratteggiata con toni apparentemente leggeri, ma in realtà, di una profondità abissale. Gesù parla e non ha bisogno di dare spiegazioni, chi vuole intendere, intenda. I vari autori, uomini semplici, non particolarmente dotati di cultura, riferiscono le sue parole, così, semplicemente come egli deve averle pronunciate, ed a volte, dato l’alto valore delle cose affermate, venirne a capo, da parte del lettore, è un autentico rompicapo.

Nel passo che ho proposto di esaminare, Gesù è sulla sponda del lago di Tiberiade ed ha appena finito di parlare alla folla. A questo punto decide di passare sull’altra sponda del lago ed è già salito sulla barca che dovrà traghettarvelo e ad un dottore della legge che gli dice di volerlo seguire dovunque, risponde il lupo ha la sua tana, l’uccello il suo nido, il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo e ad un altro che pure vuole seguirlo e che però lo prega di aspettare un poco, per dargli il tempo di seppellire suo padre, deceduto da poco, fornisce una risposta quanto mai angosciante: Lascia che i morti seppelliscano i loro morti.

Ora c’è da chiedersi cosa mai effettivamente Gesù volesse dire con queste strabilianti affermazioni. Una delle versioni possibili è che, se un uomo di potere, come un dottore della legge, chiede di seguire Gesù, è bene che sappia che dovrà affrontare molti sacrifici, perché egli non ha dimora, la sua dimora è il mondo e la sua missione difficile, redimere l’umanità. Ma probabilmente il senso vero della frase è molto più profondo, la condizione umana è tale, che l’uomo, con la sua intelligenza e la sua interiorità, è destinato ad essere infelice, perché preso da angosce per il futuro e sempre in cerca di qualcosa che possa soddisfare il suo spirito, rispetto alla naturalezza della vita quale quella degli altri esseri animati, guidati dall’istinto. Quindi per immedesimarsi nel destino che uno si sceglie, deve rinunciare, non solo ai suoi beni materiali, ma anche contemperare la propria sensibilità interiore, senza indulgere a baloccamenti intimistici, per avvicinarsi ad uno stato di natura.

Ancora più difficile penetrare il senso della seconda risposta: seppellire i morti è un dovere dei vivi, sacro nel rapporto tra padre e figlio. Gesù non poteva intendere che l’uomo lasciasse il padre insepolto, per poterlo seguire, la sua visione, al solito, vola alto: di fronte ai bisogni essenziali della vita, bisogna dare preminenza ai doveri della sopravvivenza, per poi occuparsi di quelli secondari. La visione dei morti che seppelliscono altri morti, è terrificante, da film horror infestati di zompi, ma non è da prendere alla lettera.        

E’ la storia dei disastri annunciati che hanno da sempre punteggiato il corso della vita di tutte le generazioni di uomini ed animali. Ad ogni catastrofe, noi contiamo le vittime ed archiviamo i morti di quella precedente.

Morti su morti, ma questa è una interpretazione del tutto arbitraria, data da me e non condivisibile con alcuno, concluse l’oratore, con gli occhi velati di lacrime.

Suvvia, lo esortò Pancrazio, non tutto è perduto e domani torneremo a tentare il vasto mare, col beneplacito di Putiferio e Segundo.

Maurizio, riportato alla realtà, dalla incongruità di quanto detto dall’amico e meravigliato dalla citazione oraziana, senz’altro inconsapevole, si riscosse e volle aggiungere, altrettanto incongruamente:

Un ultimo, prezioso ricordo tratto dall’epica omerica: Ulisse, tornato ad Itaca, e fatti fuori i proci, pretendenti di sua moglie Penelope, organizzò una spedizione verso l’Isola di Circe. Euricolo, suo compagno e cognato, nonché pilota della nave sulla quale viaggiavano, morì cadendo in mare dalla nave che Zeus aveva fatto naufragare, durante una tempesta, colpendola con un fulmine.  E dire che precedentemente aveva salvato i suoi compagni dalle grinfie della Maga ed aiutato lo stesso Ulisse, legandolo all’albero della nave, a superare l’Isola delle Sirene.

Anche lui su quell’Isola? Chiese ammirato Pancrazio, allora non sono il solo, a quanto pare, ad aver fatto quella esperienza!


 [H1]no

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