NOTTE DI LUNA CALANTE
Tutto quello che Maurizio ricordava di quella estate declinante, erano, una tendina tesa sull’oblò, che si gonfiava a tratti nella cabina, sollevata da un vento breve, che alitava sui loro volti, il gemito delle gomene di attracco delle imbarcazioni ormeggiate nella piccola baia, che si lamentavano ad ogni torsione dovuta al dondolio degli scafi pigramente addormentati nella profondità della notte, un cordino metallico che batteva ritmicamente contro un albero di maestro, la punta dell’albero che disegnava nel cielo figure astratte fra le stelle e gli occhi di Chiara che palpitavano nella notte come astri caduti dal firmamento.
E poi il tumulto dei cuori, i corpi sudati, la pace trovata. Toccare il cielo con un dito, si può, pensò mestamente, mentre un altro luogo comune, ancor più scontato, occupava la sua mente: dalle stelle alle stalle.
Con l’estate anche Chiara era andata via, lasciandogli il deserto nel cuore.
Luoghi comuni, commentò Pancrazio, con un sospiro, ma non per tutti.
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