A PROPOSITO DI ALFREDO

 

 

                                                                   

Pancrazio era davanti al mare e guardava oltre l’orizzonte.

Come, “oltre” l’orizzonte? osservò un lettore attento e un po’ pignolo.

Con gli occhi della mente, rispose Pancrazio, parlando di sé in terza persona, vedeva quello che c‘era al di là della fascia di mare che formava l’orizzonte, congiungendosi con il cielo, che era di colore azzurro, ma lievemente più pallido del mare.

Poi, inaspettatamente disse: Quanto sono stupidi i terrapiattisti: ma non hanno mai fatto un viaggio per mare, o, che dico, una gita in barca a vela, fin là dove non si vede più la costa, ed appare chiaro che la terra è rotonda? basta guardare tutto intorno alla barca per vedere come la distesa di acqua, che la circonda, sia curva sull’orizzonte circolare.

Hai letto quello che ha scritto Maurizio, a proposito di Alfredo? Gli chiese, cogliendolo di sorpresa, Sebastiano.

Che c’entra Alfredo, rispose, indispettito; ti stavo dicendo…

Vedi, spiegò paziente l’altro, Alfredo era il tipo che avrebbe prestato ascolto, con un sorrisino tra divertito e ironico, a cose come questa, come pure ad altre ancora più assurde, che so, che lo sbarco sulla luna, da parte di Armstrong e compagni, non è mai avvenuto, ecc. ma avrebbe dissentito con garbo e dopo aver ascoltato le ragioni di un simile convincimento, senza nascondere una qualche sua simpatia per le cose estreme, ma quello che diceva lui, poi, non era tutto da prendere alla lettera. Egli amava sbalordire, per vedere la faccia che facevano i suoi ascoltatori, ma soprattutto la sua era una totale apertura verso ogni ipotesi diversa da quella corrente, anche quella apparentemente più improbabile, per la sua naturale predisposizione al rispetto delle idee altrui, che non sono mai da rigettare a priori, senza averle prime esaminate e capite. Non batteva ciglio neanche di fronte alle tesi più iperboliche, solo quel leggero sorrisino che aleggiava sul suo volto, peraltro compunto, si sarebbe accentuato, inseguendo l’ombra di un pensiero divergente, con uno sguardo apertamente ironico ed una leggera increspatura delle labbra che non era ancora riso. 

Caspita, Sebastiano, ma tu parli come un libro stampato! Ironizzò Pancrazio, in realtà alquanto imbarazzato di fronte a tanta eloquenza dell’amico. Per me, seguitò poi, recuperando il suo naturale tono, Alfredo era un eccentrico e dopo questa azzardata osservazione, la sua autostima crebbe di un palmo, per come gli era uscita. Ringalluzzito, andò ben oltre, dicendo: riusciva ad avere influenza su tutto e su tutti. Non era mai dello stesso avviso degli altri, aveva sempre una sua teoria, che però a parer mio, mostrava la corda. Non chiedermi che cosa significa, perché non lo so, l’ho sentito dire e mi piace.

Non la chiamerei eccentricità, rispose Sebastiano, ma autorevolezza; le sue affermazioni erano personali e destavano interesse in chi le ascoltava, in ogni ambiente, distinguendosi sempre per il  modo di fare che era una dimostrazione discreta della sua signorilità, con chiunque si trovasse a trattare.

Che intendi dire? Gli chiese Pancrazio.

Aveva un tabaccaio di fiducia, dal quale andava a comprare i suoi sigari preferiti, un edicolante che gli teneva da parte tutte le pubblicazioni, tra le più disparate, due o più quotidiani, alcuni periodici, Quattroruote e La Settimana Enigmistica, inclusi i gadget allegati, che egli ogni giorno sarebbe andato a prendere, un macellaio al quale non doveva spiegare i particolari del taglio di carne che voleva, perché già lo sapeva, altrettanto il droghiere che era suo amico e conosceva i suoi gusti e le sue preferenze. Insomma si muoveva in un mondo fatto a sua misura ed egli vi era perfettamente a suo agio. Una parola buona per tutti, anche per il reverendo che incontrava sull’uscio di casa con il chierichetto, per la benedizione pasquale, che salutava ed invitava ad entrare, mentre egli usciva.  

Ho sentito una volta che parlava con competenza di abbinamento tra calzini e cravatte, come un esperto di moda; altre volte di sboccatura dello champagne, asserendo, se ricordo bene, che andasse fatta assolutamente nell’anno dell’imbottigliamento. Spesso affermava, quasi di sfuggita, di aver fatto il giro dell’Europa in macchina, una sportiva dell’Alfa, guidando con scarpe fatte apposta per guidare e indossando guanti senza dita, indispensabili, secondo lui per tenere bene il volante.

Se per questo, era un raffinato, ammise Pancrazio. Ma anche un po’ stravagante.

Ti riferisci a quella volta che, tornando appunto da uno di quei viaggi, andò a trovare un suo amico, alle ore nove del mattino per offrirgli un assaggio di Galvados, un liquore specialissimo che aveva acquistato all’estero e che meritava assolutamente di essere degustato?

Pancrazio lo riguardò a lungo, poi disse: Tu forse ignori di quella volta che, era stato appena assunto a Roma, nell’ufficio nel quale andò a lavorare, dopo conosciuto l’ambiente nel quale si era venuto a trovare, tornò a Teramo,  dicendo: Non è vero che l’abito non fa il monaco, ma è vero il contrario: l’abito “fa” il monaco. E spiegò: aveva notato che, all’ingresso, la mattina, gli uscieri in livrea, riservavano saluti e cortesie soltanto a determinate persone che evidentemente dovevano occupare posti di riguardo, mentre non guardavano nemmeno  gli altri e quanto a lui, non se lo filavano proprio, tanto che gli sembrava di essere invisibile. Allora, appena riscosse la prima mensilità di stipendio, non fece altro, che andare da un sarto di fama per farsi confezionare un abito di stoffa in perfetto stile inglese ed un soprabito che abbinò ad un cappello elegante e nei giorni successivi, si presentò al lavoro così rivestito e si divertì nel vedere come gli uscieri avessero mutato atteggiamento: ogni mattina, vedendolo arrivare, si sperticavano in saluti e complimenti, da non dire “Buon giorno, dottore; dottore, di qua, dottore di là, prego, si accomodi” e via di seguito; era uno spasso unico.

Vuoi dire che era pure saccente?

No, saccente mai! Estroso, direi, eclettico, polivalente, ma soprattutto, ludico. Il  suo, era il più dolce e gentile  modo di dissentire assentendo, oppure di assentire, pur dissentendo, non so come dire, ma Alfredo era unico in tutto.

Ma chi sa dirmi di Cavtat? proruppe all’improvviso Maurizio, sopraggiunto non visto. Tra i suoi grandi amori, oltre la boxe e la Juve, c’era il mare che aveva conosciuto anche in profondità, praticando attività da sub con le bombole, e in superficie col nuoto e nelle ore di pace passate a pescare con la lenza. Fra tutti i luoghi di mare visti, egli aveva scelto un angolo di Paradiso sulla costa croata, che aveva scoperto a Cavtat, un paesino preso Dubrovnik, dove aveva trovato un’accoglienza molto calorosa da parte di persone divenute ben presto sue amiche, che lo capivano e lo stimavano ed egli lì aveva lasciato il cuore, al punto di disporre che, dopo la sua morte, una parte delle sue ceneri venisse sparsa a cura delle figlie, su quel mare.

L’ultimo ricordo che ho di lui, è ancora legato a quel posto; era andato da poco in pensione e una mattina mi telefonò mentre io ero al lavoro. Sono a Cavtat, mi disse, davanti al mio mare, sto facendo colazione con una mezza dozzina di ostriche e mezza bottiglia di champagne. Tu che fai ancora lì? Lascia tutto, prendi un traghetto e viene anche tu. La vita è qui; sarai mio ospite, conoscerai gente meravigliosa e ti dimenticherai di tutti i tuoi affanni. Una breve pausa: Schiavo, aggiunse poi, ridendo e chiuse.

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