SCRIVERE

                    

                                                                                  

Se parliamo di noi, principiò a dire Maurizio con aria contrita, dobbiamo onestamente ammetterlo: non siamo scrittori, né dilettanti e nemmeno aspiranti. Noi siamo semplicemente degli scribacchini; accucchiamo due ideuzze in croce e crediamo di avere scritto un capolavoro, e subito ci piace pubblicarlo sui social, per far vedere agli altri quanto siamo bravi e che pensieri profondi abbiamo, ma la scrittura è da tutt’altra parte, è fatta da tutt’altra stoffa, porta molto più lontano di quanto noi riusciamo a comprendere.

Allora la poesia che ho scritto stanotte non vale niente?  Chiese affranto Pancrazio. Non volete nemmeno sentirla? Si rivolse alla platea in cerca di consenso, ma questa (al solito quattro gatti), che dapprima era intenta con aria seriosa ad ascoltare quanto stava dicendo Maurizio, scoppiò a ridere scompostamente, non appena Pancrazio, che agitava un foglio, minacciando di iniziarne la lettura, ebbe pronunciato le sue parole.

Contrariamente a quanto avveniva di solito in situazioni come questa, Pancrazio non mostrò di essere offeso ed attese con calma il responso del suo maestro.

Pancrazio, quello che scriviamo noi, va bene per noi ed è sempre un utile esercizio, per cui sbagliano quelli che ora stanno ridendo. Sarò ben lieto di leggere quello che hai scritto stanotte in un altro momento, nel frattempo, chiariamoci le idee e diciamo tutto quello che va detto su questo argomento.

Luciana, la nostra grande amica, da me nominata nume tutelare di questo Circolo, mi ha fatto dono di un libro prezioso da molti punti di vista, perché spiega in soldoni, oltre che idealmente, cosa voglia dire scrivere. Ed è diretto proprio a coloro che aspirano ad entrare nel mondo dei grandi e da un lato cerca di scoraggiare quelli che non hanno alcun talento, ma non lo sanno, e dall’altro ad indicare la strada a chi può averlo ed ha bisogno di un sostegno, svelando quanto sia difficile penetrare il muro di gomma dell’editoria, affollato da tanti che scrivono e chiedono di essere pubblicati.

Scrivere è comunicare per segni. Ho un pensiero e lo comunico agli altri attraverso una serie di segni che fanno capire a chi li vede – li legge – il messaggio che io intendevo comunicare con la mia scrittura. Quindi scrivere è un lasciare il segno di quello che penso.

In questo senso siamo tutti scrittori, l’autore di eleganti messaggi epistolari, come l’ergastolano che scrive le sue memorie sui muri della sua cella. Tutti gli amici dei social che si scambiano messaggi attraverso l’etere, per mezzo del web. Maurizio come Licius, il sedicente Rimiratore, come il suo sodale Evaristo.

Ma di questi nessuno si definirebbe scrittore, nemmeno dilettante, tutt’al più, aspirante. Aspirante a cosa? Essere riconosciuti come scrittori e pubblicati, non sui social, né dagli editori a pagamento, ma da veri Editori, che, riconosciuta la validità dell’opera, accettano di correre il rischio di pubblicarla a proprie spese e si adoperano per la sua diffusione e vendita, a scopo di lucro e per fare attività di talent scout.

Ecco, a questi è rivolto il libro di cui parlo, a tutti quegli scrittori in pectore, che si aspettano di essere scoperti e portati alla ribalta dal successo con una prima opera pubblicata, che si afferma presso il pubblico dei lettori e dei critici.

Scrivere è una missione? O è – anche – un mestiere?

L’autore del libro dice: è un lavoraccio, nel senso che è molto faticoso, come chi non scrive non riesce a concepire. Ma lo stesso ha dato al suo libro il titolo molto significativo “Scrivere è infinito”, per dire che attraverso quella fatica si possono raggiungere traguardi impensabili, inimmaginabili, come l’infinito, appunto.

Raggiungere l’infinito non è come parlare dell'infinito.

C’è infinito ed infinito. Se leggiamo la poesia di Leopardi e naufraghiamo con lui nel grande mare dell’infinito, non possiamo per questo dire che abbiamo “vissuto” la stessa esperienza del poeta; la nostra sarà sempre una esperienza per così dire, di seconda mano. Altrimenti saremmo tutti Leopardi: non sono molti ad avere la sensibilità d’animo di un Leopardi né tanto meno la sua capacità di tradurre in parole la profondità dei propri sentimenti.

Torniamo a parlare di noi scribacchini: anche noi lasciamo dei segni. Anche noi ci illudiamo di vivere una vita più intensa, per il solo fatto che scriviamo, cioè mettiamo in parole quello che pensiamo e ci sembra degno di essere comunicato e ci affacciamo al balcone di un canale telematico, che illusoriamente ci mette in contatto con il mondo, facendoci sperare di poter raggiungere una certa notorietà, ed in questo non c’è nulla di male; è utile anche il più piccolo segno lasciato a chi legge con l’intento di comunicare qualcosa. L’essenziale è non montarsi la testa, non autopromuoversi al rango di scrittore. Guardare all’infinito, conservando il senso dei propri limiti. C’è un’espressione, non mia, di una certa crudezza, ma a parer mio molto efficace: non bisogna indulgere al piacere di rimirare il proprio ombelico, cioè bisogna non prendersi troppo sul serio. Il nostro è puro divertimento, gioco ad imitare i grandi, ma con la consapevolezza di quello che obiettivamente si è.

Ora siamo pronti ad ascoltare la poesia di Pancrazio.

Tese l’orecchio ed attese; stranamente non udì alcuna reazione da parte del pubblico; inforcò gli occhiali e si guardò intorno: quello che vide fu la conferma del fatto che in sala non era rimasto più nessuno.

Sul tavolo, un foglio lasciato aperto, come una pietra d’inciampo, pensò Maurizio, era già di per sé un messaggio gravido di conseguenze.

 

Commenti

  1. "Professo' che ne pensi di quello che dice Maurizio a seguito della poesia non letta di Pancrazio?" - "Rimiratore amico mio, che posso dirti diversamente da come Maurizio ha ben analizzato ed esposto l'argomento della scrittura? Non è da tutti la scrittura se intesa con un minimo di serietà. Purtroppo oggi scrivono tutti di tutto, anche personaggi noti ma insulsi purtroppo, con argomenti privi di autentico valore." - "Ma Professo' allora tutto quello che scrive il nostro autore Lucio/46 è ciarpame elettronico, noi compresi?" - " Tranquillo Rimiratore, non è così, egli è consapevole di scrivere per se stesso o per qualche amico che gradisce leggerlo, non è uno che insegue illusioni di notorietà, se qualcuno lo legge prova piacere e basta. Però tieni conto che scrivere i propri pensieri e le proprie emozioni è un buon esercizio utile a se stessi, aiuta a conoscersi ad affinare le proprie idee." - "Meno male professo', temevo un tuo giudizio tagliente, però mi dispiace che non hanno letta la poesia di quel povero Pancrazio, è spontaneo e semplice, non è presuntuoso." - "Giusy arrivano sti caffè?" Disse ad alta voce Evaristo mentre Rimiratore si era azzittito e intristito da pensieri suscitati dal dialogo con il professore. "Lasciamo i nostri amici al Caffè Grande Italia in cima a Viale Bovio e torniamo in noi" - disse Lucio/46 a Licius "e ricordiamoci che un pó di umiltà nel riconoscere i propri limiti è cosa assai saggia, ma senza sminuirsi o scoraggiarsi per questo".
    Lucio/46

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